Reinserimento, riabilitazione, rieducazione… Solo parole

Ed è con mio padre e con mia madre

che ho cominciato a maledire

la geometria di questo mondo

che non è esattamente tondo

Perché è un mondo fatto a scale

e c’è chi scende e c’è chi sale

perché è una giostra che gira sempre

e c’è chi sale e c’è chi scende

E chi è baciato dalla fortuna

chi non gliene va bene una

perché la scala da scalare

non è per tutti eguale

(Mon père et ma mère”, Eugenio Bennato)

Si parla molto del reinserimento e della necessità di restituire quanto meno una persona risocializzata alla società quando ha finito di scontare la propria pena.

Ma purtroppo oggi continua ad essere un sogno utopistico, perché non sempre viene garantito al detenuto che sconta una pena, di poter  uscire dal carcere come una persona con strumenti diversi da quelli che aveva all’epoca dei propri reati.

Si perché purtroppo l’art. 27 della nostra amata ma “calpestata” Costituzione, continua ad essere un’opportunità per pochissimi eletti all’interno delle carceri. Con la conseguenza che una persona, finito di pagare il proprio debito con la giustizia, si ritrova catapultata nella società da un giorno all’altro, senza una meta, nella stessa, e a volte peggiore, condizione culturale e sociale di quando era stato arrestato.

Questo perché all’interno delle carceri ci sono sempre meno strumenti  trattamentali  degni di questo nome. Nel senso che, quel poco che si può trovare: corsi di scrittura, sala musica, teatro …, servono più come strumento di statistica annuale per gli addetti ai lavori, che come strumento che permetta al soggetto di acquisire dignità durante la pena, e quindi responsabilità rispetto ai propri errori che lo hanno portato in carcere.

Questo tipo dì attività e  trattamenti che vengono  offerti nella maggior parte delle carceri in Italia (se non si è in un carcere illuminato), non  permettono dì acquisire capacità e professionalità da poter spendere, e sfruttare in società una volta finito di scontare la propria pena.

Già i pregiudizi rispetto al tuo passato sono tantissimi da parte della società e quindi pesano su chi ti dovrebbe offrire un’opportunità di lavoro. Ci si metta poi l’impossibilità di avere degli strumenti adeguati che ti permettano di affacciarti al mondo del lavoro, ed ecco che c’è il rischio concreto che le persone ritornino là da dove sono arrivate all’epoca dei loro reati.

Non sarebbe quindi più logico investire in termini di prevenzione su queste persone mentre sono ristrette, cercando di fargli acquisire degli strumenti che permettano loro di non cadere di nuovo nel baratro della delinquenza e della sub-cultura in cui sono sempre vissute, rendendo in questo modo il loro libero arbitrio meno condizionabile dal loro passato e dal contesto sociale da cui provengono?!

Ecco perché sarebbe auspicabile che le istituzioni , a partire dallo Stato che dovrebbe garantire in tutte le carceri percorsi scolastici che portino a diplomi statali in grado di offrire cultura e possibilità reale di trovare un posto di lavoro e un reinserimento adeguato, ma anche tutta la società che entra ad operare in carcere, sia laici che cattolici, iniziassero a porsi qualche domanda sull’efficacia che possa avere l’offrire ad una persona un vero accompagnamento graduale e di sostegno prima che quest’ultimo faccia il suo ritorno in società,  evitando così che un “mancato reinserimento” continui a segnare di dolore le nostre vite.

Salvatore S.

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Autore dell'articolo: feniceadmin