Il gioco degli scacchi da alcuni è metaforicamente additato come fortemente razzista non solo per i colori delle pedine ,ma anche per la spietatezza della sua strategia che insieme ad una filosofia Machiavellica (il fine giustifica i mezzi) può sacrificare pezzi pregiati in funzione della vittoria finale.
Qui in carcere pochi sanno giocarci degnamente ma non è difficile invece conoscere stranieri di diversa etnia, cultura e religione in un mix colorato e potenzialmente divisivo, ma mai pericoloso quando vigono rispetto e collaborazione.
A tal proposito sono orgoglioso di scrivere questo pezzo a quattro mani insieme al ”mio amico di galera” Kelvin, io bianco-bianco pallidino ed un po’ anemico, lui nero-nero nigeriano puro di nascita, ma italiano di adozione.
Lui è un ragazzone alto e bello, intuitivo ed intelligente, interessato a migliorarsi attraverso letture e studi e questo per me è degno di grande ammirazione.
Nonostante ci dividano migliaia di chilometri alla nascita, più di una decina d’anni d’età ed il fatto che lui sia testimone di Geova, mentre io più o meno cattolico, grazie a due caratteri simili abbiamo interessi e passioni comuni cosa che trovo sorprendente ma stupenda poiché il confrontarsi con lui nutre la mia curiosità ed amplia continuamente le mie vedute smentendo clamorosamente tante false verità sullo spinoso argomento dell’immigrazione.
Già solo raccontando della sua Odissea per raggiungere l’Europa si potrebbe scrivere un pezzo appassionante, ma ora affronteremo e vi racconteremo insieme un altro argomento complicato che riguarda tutti noi in terra straniera e cioè la piaga culturale del razzismo.
Si è spesso portati a pensare il carcere come il luogo peggiore possibile dove prevale la legge del più forte e tutte le minoranze vengono penalizzate se non schiacciate dal sistema… niente di più falso.
Kelvin nei suoi racconti attraverso esperienze dirette ha più volte smentito questa cosa facendomi presente come il razzismo lo ha sentito e subito molto più in libertà che qui da detenuto, sia da persone comuni, sia dalle autorità che paradossalmente lo tutelano maggiormente in galera offrendogli pari opportunità con noi italiani.
Ora traduco e riassumo dal suo perentorio inglese la sua esperienza nonché il suo pensiero… pensiero che sicuramente se accolto nel modo giusto toccherà mente e cuore di chi saprà apprezzare.
“Non ho mai considerato razzismo, anche se la cosa mi faceva sentire male, il fatto che in Nigeria mi chiamassero nero poiché tutti noi eravamo di colore, ma da quando per la prima volta son venuto in Europa si è sviluppata in me una maggior sensazione di discriminazione ed ho conosciuto persone per la maggior parte di razza diversa che mi consideravano capace solo per lavori durissimi e pagati male mentre loro erano gli eletti destinati ad altre mansioni più agevoli e questa forma di razzismo mi rendeva molto triste.
Convivendo tra loro mi son detto più volte che dovevo rendermi più forte per stare al loro passo e che se non piangevo nella mia terra natia quando mi chiamavano nero perché dovevo farlo ora?
La pura verità è che siamo tutti umani, tutti respiriamo dal naso, ma non siamo tutti uguali poiché diversi nel pensiero, orientamento sessuale e cultura. Il colore della pelle non è e non deve essere un problema, ma la cosa importante è ciò che hai dentro e come la sai sviluppare positivamente.
IO MI RIFIUTO DI ESSERE UNO SCHIAVO…MA SARO’ UN AFFAMATO E COMBATTENTE UOMO LIBERO!”
Kelvin e Vespino