Provo un certo piacere tornare a scrivere per il giornale “LA FENICE” a cui tengo davvero tanto, e sarò sempre riconoscente alla nostra redattrice Olivia Realis Luc, per quello che mi ha trasmesso da quando ne ho fatto la conoscenza.
Ora che sono ritornato a macinare frasi, mi sento come un bambino che ha riavuto indietro la sua bicicletta dopo un avvenuto sequestro.
Mi mancava davvero tanto scrivere, ma sopratutto mi mancava l’intero progetto che seguivo con impegno all’interno della redazione “LA FENICE” , dove ho imparato a tirare fuori il meglio di me dopo tanti anni trascorsi in carcere a confrontarmi solo con me stesso.
Stranamente è anche vero che quando un progetto come questo funziona e dà i suoi frutti all’interno di un carcere, qualcuno è sempre pronto a ridimensionarlo.
Forse il motivo è quello che si vuole allontanare il più possibile questo mondo emarginato delle carceri (che comunque appartengono alla società) dalla realtà e dalla quotidianità delle persone libere.
E invece questi mondi vanno avvicinati, e le testimonianze, anche attraverso la scrittura, sono il modo per farlo.
Io in quest’ultimo periodo ho dato uno spazio nuovo alla scrittura, che mi ha aiutato a farmi riconoscere finalmente come persona e non solo per quel fascicolo che mi porto dietro e che purtroppo mi penalizza, perché parla di me, ma senza conoscermi realmente; parla di tutti i trasferimenti; tutti i giri che ho fatto nelle carceri nonostante “un personal computer sia un lusso che i detenuti non debbano assolutamente avere”.
Qualcuno forse per prendersi gioco di me e cercare di scoraggiarmi, mi ha detto: “Perché non puoi scrivere a mano con carta e penna?” Certo! Come se dopo essermi sempre tagliato la barba con una lametta, oggi invece mi stesse offrendo un coltello come facevano nelle tribù.
Una cosa è certa, la scrittura, il confronto con le persone, mi aiuta a svuotarmi del male che porto dentro.
Diversamente, oggi conosco uno strumento, che mi gratifica più di quanto facessi prima, quando esprimevo i miei concetti in un modo esasperato da tutta questa rabbia, al punto da causare disordini e punizioni conseguenti, che mi hanno portato ad essere punito con ulteriori anni di pena, mentre una persona in carcere dovrebbe costruirsi, piuttosto che aggravare il suo cammino.
E invece facile arrivare a rovinarsi ulteriormente la pena e la vita, nelle carceri cosiddette “punitive”: quando si prova sulla propria pelle ogni singolo trattamento disciplinare di ogni singolo Istituto Penitenziario non è mai semplice abituarsi a delle regole che sembrano avere il solo scopo della vendetta, e che sanno lasciarti solo vittimismo, piuttosto che farti sentire che hai fatto del male.
Grazie alla FENICE e al catechismo trasformo le mie frustrazioni, i calci più duri ricevuti in questi anni, in qualcosa che può responsabilizzare sopratutto la mia persona.
E vorrei dire a voce alta che le porte che ci chiudete in faccia, le state chiudendo a voi stessi ed al futuro dei giovani, tra i quali anche i vostri figli, che dalle storie delle nostre vite potrebbero imparare a non sottovalutare i rischi di certi comportamenti. Per questo, noi racconteremo, grideremo lo stesso le nostre storie, non per renderci fieri o farci sentire protagonisti, ma per essere d’aiuto a qualcuno che ne avrà bisogno, e quel qualcuno potrebbero essere anche i vostri figli.
Michelangelo D.
Uomo Ombra
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