E Dio creò EI Pibe de Oro

Adesso lassù forse qualcuno glielo sta chiedendo di persona: “Dimmi un po, di chi era quella mano?” e lui risponde, “Yo soy Maradona”.
“Papà”, dice Gesù inferocito al padre, “non puoi fare così. Senza dire niente a nessuno chiami a casa mio fratello; ma a questi laggiù ci pensi, ma come fanno, come è possibile vivere una vita senza Diego?”.
“Gesù, figlio mio, ognuno ha il suo compito ed io feci un bambino a mia immagine e somiglianza, come tutti i bambini; ma ad un nato in una periferia di Lagos, Argentina, diedi un compito, diverso dal tuo.
Non gli dissi come sta scritto su quella maglietta va in terra e insegna loro il calcio; troppo semplice. Ma gli dissi: Diego: Vai laggiù e insegnagli la gioia attraverso il calcio. Lo feci povero, e lo feci basso, ma lo feci forte, lo feci coraggioso e lo riempii d’amore. Poi gli lanciai una palla e lui palleggiando con quella sta tornando da noi”.
Gesù rispose: “Sì papà ma proprio quest’anno, ma come faranno?”. Faranno come hanno fatto con te, figlio mio, da oltre 2000 anni; lo ricorderanno, lo ameranno e lo venereranno. Lui gli ha dato amore e loro gli daranno amore, Diego è amore, come lo sei stato tu. Gesù, anzi, ti confesso una cosa che non ho mai detto a nessuno. Una sera stavo guardando una partita dove giocava lui, con la sua nazionale. Era una partita importante perché tra quei due paesi c’era stata una guerra e aveva vinto il più potente. E Gesù tu lo sai che a me i prepotenti mi danno fastidio. Ebbene quella sera, figlio mio, ho fatto uno scherzo a Diego: mentre stava saltando, sai che ho fatto? Ho segnato io. Ma con tutti gli impegni che ho non ho mai imparato a giocare a calcio; e ho segnato con la mano, la mia mano la mano di Dio; Diego si era arrabbiato e poi per ripicca, come fanno i figli con i padri, nel secondo tempo ha preso la palla ha scartato tutti quanti e ha fatto gol. E poi mi ha pure sfottuto. Chiedi a mamma, cosa le dissi, “Mari, quel Diego è proprio un padreterno.”
A quel punto si introdusse uno con una maglia bianconera e disse “Padre ma Diego ha molto peccato”. E il Padre rispose: “Giuda, chi non ha peccato scagli la prima pietra e per cortesia posa quella pietra che hai appena rubato che è di Pietro”. “Gesù, vieni con me”, disse il padre prendendo il figlio per mano e portandolo verso un enorme stadio. Milioni di persone stavano aspettando il sogno di una vita, vedere il Pibe de Oro.
Gennarino Esposito si avvicinò commosso al Padre e disse: “Dio, potevi tenere Diego laggiù un altro po’, ma oggi per me è una giornata particolare. Sono venuto qui nel 1985 e sono quaranta anni che lo voglio abbracciare per ringraziarlo per la gioia che dato a noi e ai nostri figli laggiù”.
Intanto dallo Stadio gli angeli intonavano un solo coro, milioni di persone intonavano un solo coro, miliardi di persone non stonavano una sola nota: era un canto semplice, il canto più semplice che c’è, il nostro canto, due sole parole ripetute all’infinito: “OLÉ, OLE’ Diego Diego. OLE’, OLÉ, Diego, Diego”. Poi un boato unì le anime del paradiso; dal sottoscala dello stadio, esce Diego; ha la maglia numero 10, è spaesato, confuso, come tutti quelli che arrivano lassù. Il Padre lo abbraccia e gli lancia il pallone. Diego lo guarda, lo prende, lo lancia in aria e poi inizia a palleggiare e poi ancora, e poi ancora e poi ancora. Diego è felice.
Milioni di persone lassù piangono vedendo il figlio del padre tornato ad essere quello che era, emblema di gioia e felicità orgoglio e libertà.
La meravigliosa iperbole di un grande tifoso partenopeo…..

Michelangelo D. Uomo Ombra

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Autore dell'articolo: feniceadmin