Il punto di Vespino (seconda parte)
Fin dal primo giorno di carcerazione ho subito capito come il “Diavolo non è così brutto come lo disegnano”… questo vecchio detto fa capire come spesso sia distorta la realtà di un detenuto vista da fuori e sicuramente influenzata da media, film o semplicemente mentalità bigotte e chiuse.
La galera è un piccolo spaccato della nostra odierna società dove sicuramente bisogna adattarsi, ma condivisione e rispetto sono le basi da cui partire.
Naturalmente ci sono regole comportamentali soprattutto nel rapporto con graduati e personale lavorante,ma sono più importanti le regole non scritte tra detenuti… quelle più delicate anche da capire.
Non è facile davvero definire una persona un delinquente, almeno per me, in quanto non sempre a conoscenza delle ragioni che lo hanno portato a infrangere il codice penale e quindi per quanto possa meritare un periodo più o meno lungo in galera non mi sento di giudicare e poi magari risulta essere una persona squisita da frequentare con cui condividere opinioni ed interessi.
Più facile invece sapere chi non avvicinare poiché privo di valori morali e principi, che essendo per me importantissimi, possono delinearne una personalità distorta e pericolosa spesso appartenenti a persone che continuano a delinquere anche in carcere.
Le regole di vita son le stesse dentro e fuori con la differenza che in galera a causa di privazioni e convivenze forzate in ambienti angusti tutto viene amplificato ed esasperato e quindi rendono i rapporti sociali delicatissimi.
C’è sicuramente una questione di territorialità, di spazi comuni da rispettare soprattutto in celle o sezioni affollate, ma smussati gli angoli e capito un po’ il sistema la convivenza non è poi così penosa.
Per esempio mi ha stupito molto la solidarietà che molti hanno spesso coi nuovi giunti, il sostegno reciproco materiale o spirituale che lega estranei con situazioni e problematiche comuni.
La parola amicizia si pronuncia di rado ma esistono rapporti che continuano anche a fine pena solo se vissuti sinceramente all’interno del carcere.
Volendo analizzare la situazione profondamente posso anche dire che c’è una sorta di scala gerarchica con ruoli pressoché definiti, ma se ogni detenuto rispetta la condizione altrui c’è anche molta accettazione.
Paradossalmente dopo un po’ di tempo le sbarre non le vedi più e la sezione ti sembra una via piena di casette ognuna con le sue storie, percorsi, progetti e caratteristiche dove quasi ti senti a tuo agio e non più fuori luogo e dove abitudini e consuetudini diventano routine.
Importantissimo, infine, diventa non perdere il contatto con la quotidianità esterna per non esser tagliato fuori in futuro e quindi importantissimi diventano i colloqui con familiari ed amici, la corrispondenza e la frequentazione di tutte quelle persone che ruotano attorno al carcere, per esempio volontari, professori, educatori e psicologi perché non diventi totalmente alienante la realtà fuori dalle mura.
La microsocietà carceraria è formante e può esser maestra di vita e ti fa sicuramente vedere tutto con una nuova prospettiva generale.
Vespino
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