Versi da una prigione

Tre poesie scritte dall’istituzionalizzato

Reietto


Eh, reietto,
ogni giorno l’attesa
mista ad ansia
per una lettera che
mai riceverai.
Giorno dopo giorno,
settimana dopo settimana,
una snervante e ansiosa attesa
per un colloquio che mai farai:
nessuno verrà mai a trovarti.
Alla parete di una stanza apposita,
un telefono appeso al muro che,
per i più fortunati squillerà;
mentre per te,
mai quel telefono trillerà:
non hai nessuno: lo sai.
E come ciliegina sulla torta,
come tutti gli altri,
mio piccolo reietto,
anche questo Santo Natale
avrai nel cuore
infinita nostalgia,
mista a profonda tristezza.
E sotto le lenzuola, tristi lacrime
di solitudini,
lungo il tuo volto
lentamente scivoleranno giù.
E prima di addormentarti
con occhi ancora bagnati,
un penoso e nostalgico pensiero
alla tua mente si affaccerà:

<<Buon Natale anche a te, invisibile reietto della consapevole indifferenza della società>>

La funesta danza delle rose

Attraverso la tv sento e vedo
con occhi tristi e lacrimanti
la danza delle rose che più non ci sono:
turbato guardo quella danza e
non e più quella leggiadra, aggraziata
e sorridente come un tempo.
Tempo in cui esse
venivano dall’uomo coltivate,
accarezzate ed amate.
Troppe, tante panchine e scarpe rosse
lungo le vie delle città.
Afflitto
chiudo gli occhi per un’istante
e odo nel vento
le loro strazianti grida;
e inerme, assisto,
col cuore dolente
e come i miei occhi piangenti,
a quella triste e funesta danza
dai petali ricoperti da piccole gocce;
ma non sono, purtroppo, gocce di rugiada
del mattino:
sono lacrime di morte: di anime dannate.
Lacrime di sofferenza, di suppliche,
di sangue.
Quei petali ora vestono a lutto,
disperati urlano:
<<fermati, non uccidermi: non commettere anche tu
un altro femminicidio.
Siamo donne, nel grembo vi abbiamo tenuti e protetti;
vi abbiamo donato la vita e voi…
in cambio, ci avete dato la morte>>.

Sì, va beh, lo ammetto

Sì, va beh, lo ammetto:
quella sera feci il furbetto
e la mamma mi mandò a letto.
Non è un dramma né un difetto
e sbuffando tirai su il copriletto,
ma voglia non avevo
per un sonnetto.

Mi giravo e rigiravo, e solo soletto
dentro quel letto,
allungai una mano e presi un libretto,
ma l’avevo già letto.
Sì, va beh, lo ammetto,
non è un dramma né un difetto.

Quando d’un tratto, sul vetro della finestra,
sentii un colpetto,
dallo spavento sobbalzai dal letto;
mi girai, guardai e vidi: era un piccolo corvetto,
era nero e solo soletto, proprio come me, dentro quel letto.

Con un balzo venne sul letto,
mosse il becco e mi disse qualcosa,
ma io non parlo il corvogese…
<<tu eri sul tetto, perché da me sei venuto, sul letto?…>>

Lui mi guardò e capii,
capii che non avevo capito.
Allora di colpo le ali spiegò,
mi si posò sul petto e
mi diede un bacetto.

Ma tu guarda ‘sto piccoletto…
era solo soletto e,
m’addormento nel letto…

Sì, va beh, lo ammetto,
non è un dramma né un difetto,
la prossima volta, non farò il furbetto
e la mamma, non mi manderà presto a letto…

Autore dell'articolo: feniceadmin