Aumentano ancora una volta i casi in Italia del trend del “femminicidio”, un fenomeno che grazie a giornalisti e tv nazionali viene gonfiato a dismisura. Questo problema automaticamente crea una confusione anche nelle istituzioni, aumentano a dismisura le detenzioni cautelative, quando basterebbe avere delle figure di controllo e valutazione che siano in grado di riconoscere i casi a colpo d’occhio.
Purtroppo ci sono troppi casi in cui i reati legati alla donna, stalking in primis, vengono affibbiati a prescindere. Anche se, dopo periodi biblici, si ottengono a favore tutte le prove per cui l’imputato non ha commesso il fatto, il Pm o il Giudice di turno che inizialmente lo hanno valutato creano situazioni di “abitudine” per cui si preferisce la strada della detenzione cautelativa per cui, in caso in cui le situazioni si dovessero aggravare, loro sarebbero i primi ad essere tutelati, non tenendo conto dell’altra faccia della medaglia. Questi casi creano sovraffollamento inutile e congestionamento della burocrazia e creano nella vittima una serie di aspetti non indifferenti, basti pensare ai traumi psicologici di una ingiusta detenzione, si innesca un meccanismo quasi studiato a tavolino per spillare soldi ai cittadini con avvocati e ricorsi vari che allungano soltanto i tempi.
La frase tra moglie e marito non mettere il dito sembra messa in pasto ai buonisti che ne fanno una prelibata pietanza per la magistratura Italiana, tutti litigano o si scambiano idee, spesso diverse e con toni diversi, ecco perché occorre una figura che sappia valutare la linea sottile tra pericoloso individuo e la figura invece vittima della moda comune.
Abbiamo il caso di una guardia di sicurezza, quarantaduenne di Novara che dopo la detenzione errata di un giorno nel mese di Febbraio a Marzo si ritrova dentro l’ennesimo caso di accusa di stalking, arrivano per lui le manette, questa volta viene portato in altro carcere, dove ancora in fase di indagine e in attesa di processo si proclama innocente, contro di lui le sole accuse verbali della “vittima”, in questo caso non bastano due ricorsi in appello per farlo andare ai domiciliari perché ritenuto pericoloso, senza che il giudice lo avesse mai visto o ascoltato prima, senza una perizia apposita, fuori una vita normale con una residenza, un lavoro e una famiglia, la sua vita appesa ad un filo, per lui sei mesi di custodia cautelare in carcere sono l’unica certezza. La donna che urla non è sempre colei che ha lo scudo in mano.
S.A.