Articolo di Mattia Feltri pubblicato sulla Stampa del 2 Luglio 2025
L’altro giorno, nelle stesse ore, il presidente della Repubblica si è congratulato con l’Amministrazione
penitenziaria per il lavoraccio che si sobbarca, e in Parlamento si è omaggiata la memoria di Paolo
Borsellino, di cui è stata esposta la borsa che aveva con sé il giorno in cui fu ammazzato.

Tutto però mi è stupefacente: come su un processo fasullo si sia perduta, probabilmente per sempre, la possibilità di conoscere gli assassini di Borsellino; e come maggioranza e opposizione se ne infischieranno, l’una adesso, l’altra quando sarà il suo turno, delle parole di Sergio Mattarella, tormentato una volta di più dall’indecente condizione delle prigioni italiane.
E mentre ci riflettevo sopra, a un ragazzo con l’ambizione di diventare giornalista ho chiesto: secondo te ne ammazza di più la mafia o il carcere? Lui mi ha guardato esterrefatto, e poi: avrei detto la mafia ma, da come me l’hai chiesto, ho capito che è il carcere.
Non è neanche più una partita: ormai stravince il carcere. Calcolando soltanto i suicidi, e soltanto quelli
dei detenuti (si suicidano anche le guardie), l’anno scorso il carcere ne ha uccisi 91, secondo
l’associazione Antigone, o 83, secondo il ministero della Giustizia; gli omicidi della criminalità organizzata
sono stati 15.
Negli ultimi dieci anni, i suicidi in carcere sono stati 591 (secondo Antigone 611), e 331 gli omicidi della criminalità organizzata. Anche uno scolaro capisce che, se il carcere ha sulla coscienza più morti della mafia, non è solo un’emergenza sociale, come ha detto Mattarella, o morale, come pensano altri, bensì soprattutto mentale: è il cervello che è fuori uso.