Articolo di Fabrizio Baggi | Alternativ@ | 20/10/2025

La morte di Paolo Piccolo, avvenuta dopo un anno di agonia passata in stato semi vegetativo in seguito ad un pestaggio violentissimo avvenuto lo scorso 24 ottobre è un fatto gravissimo che rappresenta un’ennesima sconfitta del sistema Paese.
Paolo, 26 anni, ex detenuto del carcere di Avellino, fu vittima di un violentissimo pestaggio, un’aggressione feroce da parte di un gruppo di altri dieci detenuti durante il quale riportò lo sfondamento del cranio e ventisei coltellate, una delle quali gli aveva lesionato un polmone. L’aggressione, avvenuta il 24 ottobre 2024, aveva sconvolto la comunità irpina per la sua brutalità.
Bastonate, ferite inferte con oggetti acuminati, dentro la sezione “primo piano destro” del penitenziario. Ma come è stato possibile?
Dopo il pestaggio, per un breve periodo, Paolo è stato ricoverato al centro “Don Gnocchi” di Sant’Angelo dei Lombardi, polo specialistico riabilitativo, poi, aggravatosi, di nuovo in ospedale fino al tragico epilogo.
Dopo mesi di degenza e un progressivo aggravarsi delle sue condizioni, il suo peso era sceso a meno di 25 chilogrammi. I familiari, insieme al legale Costantino Cardiello, avevano più volte denunciato l’assenza di cure adeguate e richiesto il trasferimento in una struttura specializzata nella riabilitazione, ma ciò non è mai accaduto.
Morire a 26 anni è una cosa che non si può nemmeno immaginare e, quando si muore mentre si è nelle mani dello Stato, delle responsabilità esistono e vanno messe sul tavolo.
Questo grave fatto, gravissimo, ci riporta ad un tema che nessun governo vuole mai affrontare ma che esiste ed è sempre più urgente: lo stato disastroso nelle quali versa il sistema detentivo in questo Paese.
Il rapporto annuale 2024 di Antigone, dedicato alle condizioni e al rispetto dei diritti e delle garanzie delle persone private della libertà personale, restituisce un quadro che definire drammatico e allarmante è persino riduttivo.
I problemi già noti e da tempo denunciati restano tutti presenti e, in molti casi, si sono persino aggravati. È il caso, ad esempio, del sovraffollamento – con 16.000 detenute e detenuti oltre la capienza regolamentare, un dato che porta l’indice nazionale di sovraffollamento al 133,44% – e delle condizioni strutturali del tutto inadeguate e fatiscenti di molti istituti penitenziari, che costringono le persone private della libertà personale a vivere in situazioni insostenibili dal punto di vista psicologico e igienico-sanitario.
A ciò si aggiunge la cronica carenza di personale qualificato: educatrici ed educatori, psicologhe e psicologi, mediatrici e mediatori culturali. Parallelamente, fatta eccezione per pochissimi esempi virtuosi, in gran parte del territorio nazionale è quasi del tutto assente una reale attività di reinserimento sociale, che consentirebbe alle persone detenute di trascorrere alcune ore al giorno fuori dalle celle, impegnandosi in attività lavorative, scolastiche o formative.
Alla luce di questa emergenza sociale, solo nel 2024 in Italia si sono registrati 86 suicidi tra le persone detenute — il numero più alto da quando vengono raccolti dati a livello nazionale — oltre a un numero elevatissimo e in crescita costante di atti di autolesionismo.
Nel 2025, i suicidi in carcere sono già 66: la mappa e le cause mostrano un dramma che continua a ripetersi senza risposte concrete da parte delle istituzioni.
Morire nelle mani dello Stato è inaccettabile: la misura è colma. È grave che nessun Governo, né quello attuale né i precedenti, abbia mostrato la volontà di intervenire per ristabilire il principio costituzionale secondo cui la detenzione deve avere una finalità rieducativa e le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.
Questo Paese ha bisogno di una vera riforma del sistema carcerario che preveda:
– misure alternative alla detenzione per ridurre il numero di persone recluse, sia negli istituti per adulti sia, a maggior ragione, in quelli minorili;
– rinnovamento e adeguamento delle strutture;
– un nuovo regolamento che innovi la vita interna, prevedendo più ore fuori dalle celle, attività lavorative, istruzione e percorsi di reinserimento sociale (dove ciò avviene, il tasso di recidiva è inferiore all’1%);
– assunzione di personale specializzato, come operatori, educatori e mediatori culturali;
– presenza costante di supporto psicologico.
Inoltre, come richiesto da Antigone, è necessario che:
– le Regioni effettuino investimenti straordinari nella formazione professionale;
– le ASL svolgano visite ispettive non annunciate per verificare se le condizioni carcerarie rispettino standard minimi igienico-sanitari.
Solo questo rappresenterebbe l’operato di un governo realmente civile. Purtroppo, l’attuale esecutivo appare sordo di fronte a tale emergenza e il DDL 1660 – noto come “sicurezza”, oggi Legge n. 140 del 2024,che criminalizza il dissenso prevedendo anni di reclusione per comportamenti che non costituiscono veri e propri reati, va nella direzione opposta, rischiando di esasperare ulteriormente una situazione già al collasso.
Ciao Paolo, non ho la minima idea del motivo per cui tu fossi recluso e nemmeno mi interessa conoscerlo. Ciò che trovo sia inaccettabile è che una giovane vita si sia spenta mentre era sotto la tutela dello Stato, uno Stato che dovrebbe garantire l’incolumità e, come recita la nostra Costituzione, il reinserimento sociale di chi, per un periodo è privato della propria libertà personale.
Per te questo reinserimento non sarà più possibile e questa è una grave sconfitta per tutto il Paese.
Link originale: https://infoalternative.it/italia/morire-nelle-mani-dello-stato-e-inaccettabile-subito-una-vera-riforma-del-sistema-detentivo/