E’ passata la Pasqua e tristemente mi ricordo che è già intercorso il periodo forse più lungo dal mio punto di vista percettivo-temporale dati’ ultima festa tradizionale, ovvero il Natale. Triste pensare ad un Natale e ad una Pasqua rinchiusi in carcere; ma probabilmente, se è vero che certe infrazioni o spinte interiori vengono generate dalla sofferenza, mi ritrovo ancora a battere un articolo che vuote focalizzarsi sul tema dell’autoriflessione e sul cambiamento, estendendolo un poco a quello delle relazioni famigliari e dei nostri cari.
Ho rimesso in discussione tutto me stesso, a partire dai ricordi e dalle convinzioni fondate ed infondate che porto dentro sin dall’infanzia. Ho riempito la mia testa di “perché”, ho cercato di entrare più che potevo nel profondo della mia anima per cercare di comprendere veramente il motivo per cui la rotta della mia vita abbia preso una direzione così nefasta e repentinamente così dannosa, tale da indurmi a finire in carcere ben due volte.
Andava tutto bene (mi ripeto), sino ad una certa età andava davvero tutto bene… Non c’era motivo di fare ciò che ho fatto e di intraprendere la strada più sbagliata che potevo.
Ho citato le due maggiori festività che noi italiani (cristiani o laici) siamo soliti celebrare con gioia ed in compagnia; beh per me non corrispondono esattamente a quel genere di evento sereno di raccoglimento e di festosità famigliare.
Dalla perdita improvvisa di mio padre (maggio 2014) ho nutrito sempre più disinteresse, malinconia, fastidio nei confronti della Pasqua e del Natale, poiché ovviamente rievocano in me ricordi felici che non potrò mai più ricostruire in futuro.
Anche questi stessi giorni sono decisamente fastidiosi ed il disagio che provo è esacerbato ancor di più dalle condizioni di reclusione carceraria, oltre che dall’enorme emergenza pandemica da Covid-19 che sta dilagando in ogni angolo del pianeta. Come già ripetuto nel precedente articolo, è difficilissimo per noi detenuti mantenere la calma e frenare il nervosismo: siamo in preda all’angoscia che il virus possa infettare uno tra noi e conseguentemente, per ovvie ragioni di convivenza ravvicinata e forzata, 24 ore su 24, possa infettare tutti quanti, polizia penitenziaria compresa.
Siamo ansiosi ed angosciati per i nostri parenti e persone più care, ed è su questo punto che mi soffermo: in particolare sul mio senso di colpa. Una voce che continua ad assillarmi quando mi guardo allo specchio: “Perché hai fatto tutto questo? Cosa ti è venuto in mente Diego? Vergognati per ciò che hai commesso. Ora stai pagando doppie pene e conseguenze, come è giusto che sia”.
Se da un lato mi sento inerme e sempre sulla difensiva (parlo di emozioni e sentimenti interiori), dall’altro sto cercando di imparare a ragionare, anziché reagire d’impulso come ho sempre fatto. Cerco di focalizzarmi sulla mia instabilità interiore, di comprendere il motivo delle mie reazioni smodate nei confronti di azioni altrui che venivano da me mal interpretate e, soprattutto, sto imparando a guardarmi addosso io per primo, piuttosto che osservare, accusare immediatamente ed istintivamente le circostanze, al fine di identificare una causa esterna, una giustificazione al Miei Palesi Errori.
Ieri ho ricevuto una lettera di mia madre, che reputo essere la più preziosa di tutte e, parafrasandola, brevemente cita: “Figlio mio, ti ho amato più che potevo, ho dato tutto per te ed ora il mio cuore sanguina, perché non avrei mai pensato di soffrire così tanto standoti lontana per così tanti mesi, non potendoci né sentire, né vedere per abbracciarci. Io ho sbagliato tante volte e ti chiedo scusa se l’ho fatto, ma pensavo che da madre, l’educazione. impartita ti sarebbe stata d’aiuto in futuro, essendo stato tu un bambino molto sensibile ed insicuro. Sei capace di sentire le emozioni più degli altri, non è una debolezza, anzi, trasformala nella tua più grande forza. Mi chiedo ancora come sia possibile tutto questo. Il perché sei lì, il perché di tante cose. Ma la vita riserva sempre nuove sorprese. Sii forte e tieni duro, ti riabbracceremo tra non molto. Lo spero con tutto il cuore. La tua Mamma.”
Non ho potuto trattenere le lacrime e non ho potuto far altro che tornare davanti allo specchio per entrare nella mia anima attraverso lo sguardo diretto, dentro i miei stessi occhi. Mi accorgo gradualmente e dolorosamente che mancavano dei pezzi importanti, mancavano dei dettagli fondamentali. Certi frammenti di vita che ho deciso di eliminare o deformare non hanno fatto altro che contribuire a distorcere la visione su me stesso, sul mondo e sugli altri. Addirittura fino al punto di nuocere alle due persone Uniche ed Insostituibili che ho Amato di più nella mia intera vita.
D’ora in poi guarderò sempre più intensamente lo specchio, continuerò a cercare di comprendermi sempre più profondamente, sino a che, spero, un giorno potrò osservarmi con pacatezza e tranquillità per arrivare a sembrare esattamente quello che sono: una persona migliore.
Diego T.
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