Un giorno finirà

Un giorno, il buio che ormai da ben sette anni è dentro di me, e mi accompagna giorno dopo giorno, finirà? Mi sarà concessa l’opportunità di tornare a vivere la mia vita, vista la mia età quello che mi rimarrà da vivere, accanto alle persone a me care e tanto amate?
Loro non hanno nessuna colpa, eppure stanno soffrendo per me e con me.
Ormai sono nel settimo anno di espiazione della mia pena, una pena che, per come la si possa pensare, mi è stata “regalata” dal nostro sistema giudiziario. Nei primi anni di espiazione ho urlato la mia innocenza a tutti e in tutte le direzioni, ho scritto a vari giornali e ad alcune trasmissioni televisive (Quarto grado, ecc.), ma non è servito a nulla, e se anche la parola “arrendersi” non fa parte del mio vocabolario,  dopo anni di inascoltate richieste di aiuto mi sono arreso; mi sono arreso per non rischiare di impazzire, perché non c’è peggior cosa che parlare al vento.
L’ultima volta che ho fatto un’ora di colloquio con la mia amata moglie è stato un anno fa (proprio finalmente oggi), dopodiché per colpa di un grave incidente in cui è incappata pochi giorni dopo esserci visti non ci siamo più potuti incontrare, e quando finalmente ai primi di marzo avrebbe potuto ricominciare ad affrontare il viaggio per tornare da me, è divampato come un incendio il Covid, e tutto si è bloccato, e l’oscurità ha continuato a regnare dentro di me.
Per colpa del Covid, prima la fase 1, poi la fase 2, e ora siamo nella fase 3, continua ad essere buio. Hanno riaperto il transito tra le Regioni, tra gli Stati, ma noi continuiamo ad essere sempre più isolati all’interno del nostro isolamento detentivo.
Potrei fare un colloquio  al mese di circa un’ora (così hanno deciso); ma, potrei mai far fare ai miei cari circa 10 ore di viaggio fra andata e ritorno, per poi stare con me meno di un’ora divisi da un vetro, senza nemmeno  potersi sfiorare le mani? No, non sarebbe giusto, sarebbe solo aggiungere sofferenza dove già la sofferenza è troppa.
Sono ormai sette anni che chiedo di essere mandato in un istituto penitenziario adatto alla pena che io devo scontare, fine pena 9999, ma continuano a tenermi nelle così dette case circondariali; dove tutto quello che mi spetterebbe (secondo il regolamento ministeriale) non mi è garantito neanche per le cose più semplici, per non parlare poi del trattamento che mi spetterebbe e al quale dovrei essere ammesso. Sono anni che presento istanze di richieste di trasferimento al D.A.P, chiedendo di essere trasferito in un istituto dove potrei finire il quinto anno di liceo, e così poter essere ammesso al polo universitario, ma ogni volta la risposta è sempre la stessa: c’è il sovraffollamento; e intanto io continuo a vegetare in una casa circondariale, dove la parola d’ordine è Regredire.
Fra circa un anno e mezzo potrò entrare nel “giro” dei permessi premiali; una delle poche cose che può avere uno con la pena come la mia; ma mi chiedo come potrò dimostrare a chi verrà chiamato a decidere se mi merito queste agevolazioni, se sono le stesse istituzioni che hanno fatto determinati regolamenti  a mettermi poi “i bastoni tra le ruote”.
Il nostro regolamento penitenziario parla chiaro, ma sembra che gli addetti ai lavori o non l’hanno mai letto, o se l’hanno letto se lo sono dimenticato, e dico questo per non dire quello che veramente penso, perché certe cose sono inconcepibili, e per aiutarli se avessero mai avuto bisogno di aiuto per non fare quello che invece dovrebbero fare, è arrivato in loro aiuto una scusante in più, il loro “amico” Covid.
A volte mi chiedo perché perdono tempo a studiare delle leggi, se poi queste leggi non vengono messe in atto e vengono messe nel dimenticatoio. Mi capita a volte di sentire in certe trasmissioni televisive, magistrati, ministri, ed altri addetti ai lavori, che parlano di cosa va fatto per il reinserimento e per la sicurezza dei detenuti, e mi chiedo se invece non farebbero meglio a stare zitti, ma poi penso anche che le parole non costano niente, ed è per quello che di parole se ne dicono tante, inutili ma tante. Penso che se solo la metà di quello che è stato scritto e detto venisse messo in atto tante cose sarebbero diverse, molto diverse.
Finalmente dopo tanti anni per una persona a me cara il buio sta per finire, parlo di Michelangelo; ci siamo conosciuti poco più di tre anni fa, al mio arrivo in questo carcere, siamo coetanei e con lui piano piano, conoscendoci è nata un’amicizia, siamo “veri” uno verso l’altro, sincerità per sincerità, nessuna ipocrisia, e forse (io lo spero immensamente) per lui sta ritornando la luce. Sono 40 anni che è in carcere, aveva poco più di vent’anni al momento del suo arresto e ora ne ha sessantacinque; e io mi chiedo come si fa a tenere in carcere un uomo per così tanto tempo, perché per quanto fosse stato grande il male che abbia potuto fare, l’uomo cresce, matura, cambia e dopo così tanti anni non è più lo stesso uomo per il quale è stato rinchiuso, e per come la vedo io, se continuassero a tenerlo  rinchiuso, sarebbe solo per vendetta e lo Stato non può usare la vendetta per farti pagare un debito.
La vendetta della giustizia… che ingiustizia…, mi scappa da ridere, ma ci sarebbe da piangere.

Caro Michelangelo spero tanto per te che presto che il buio faccia posto alla luce e ti faccio tutti i miei più sinceri auguri. Presto finirà.

L’uomo ombra
Angelo S.

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Autore dell'articolo: feniceadmin