Riprendiamo dal sito “Voci di dentro” l’articolo del 16 giugno di Francesco Lo Piccolo
“Settantadue giorni isolato” è un libro di 66 pagine, un piccolo grande libro scritto da Giacomo Corradi, detenuto. Ci sono foto, c’è lui, le sue passioni, soprattutto ci sono le foto del figlio e della sua compagna. L’ho appena scaricato da Amazon e ho scoperto un mondo di sofferenze… un anno di comunità, uno di minorile, domiciliari, libertà vigilata e due anni in carceri diversi, Bollate, Torre del Gallo di Pavia… i tagli sul corpo per essere ancora vivo. Corradi mi fatto avere un estratto del suo libro e che pubblico:

“Isolamento, giorno diciassette. Credo di avere un problema allo stomaco o roba del genere, cago acqua e mangio aria… Sono mesi ormai che non posso permettermi di comprare le casse d’acqua sul foglio spesa. Sto bevendo acqua di rubinetto del carcere e mangio quel poco che offre l’amministrazione. Penso sia un problema, dato che sono arrivato a non riuscire a finire un piatto di pasta che devo correre al cesso. Quando avevo a disposizione l’acqua in bottiglia, non succedeva questo; ho chiesto infinite volte ai medici del carcere cos’ho, ma rispondono sempre che può succedere e mi danno un protettore gastrico di cui non vogliono dirmi il nome. Prima di questo protettore gastrico, prendevo un antistaminico per il prurito da cimici da letto (di cui molte carceri sono piene). Ho anche chiesto se potessi prendere un antistaminico tutti i giorni per mesi, mi hanno sempre detto di non preoccuparmi. Mi fa incazzare il fatto che sia così scarsa la sanità qui dentro e che, per essere semplicemente visitato in infermeria, devo tagliarmi finché non esce abbastanza sangue da dovermi cucire. A quel punto, per farmi stare calmo, l’agente in turno chiama la sorveglianza, salgono, e vedendo sangue a terra si convincono a portarmi in infermeria. Il medico ogni volta si alza per prendere garze e alcool disinfettante e io come un disco rotto gli dico: “No, no, dottore, non sono qui per farmi cucire; il problema è il prurito, il problema è il gesso, la mascella, e mille altri motivi per cui volevo essere visitato”. Mi sembra a volte di pagare una visita medica col sangue, come fuori paghi in contanti.
È quasi mezzanotte del diciassettesimo giorno di isolamento, 31 luglio 2024. Non riesco a dormire, il materasso pieno di cimici, il soffitto pieno di zanzare, spazzatura ovunque fuori dalla finestra lanciata giù dai piani superiori, mi vengono delle fitte alla pancia da un momento all’altro, che devo correre in bagno. Ho voglia di tagliarmi, ho bisogno di andare in infermeria, sto preferendo sfogare scrivendo, ma non avete idea che voglia ho di mettere giù la penna e prendere la lametta. Sto chiamando l’assistente, ma fa finta di nulla. Mi sale tanta rabbia, voglio andare in quella cazzo di infermeria. Che si fottano i libri convenzionali: voglio mostrarvi anche quella parte di ognuno di noi quando viene portato all’esasperazione. Che si fottano tutti i bei discorsi del ministro della Giustizia, egregio pezzo di uomo, devo essere visitato! Fa troppo male la pancia. Guarda, Nordio, cosa offre il tuo modello di carcere riabilitativo e leggete voi criminologi, psichiatri, magistrati, cosa cazzo ho imparato a fare nei momenti di frustrazione. Questo lo chiamate delinquere? Questo lo chiamate essere criminale o pericolo pubblico? No, cazzo, trovatelo un detenuto che, in un momento di rabbia come la sento ora, sceglie la penna piuttosto di una lametta. Non potete pretendere che si annulli tutta questa rabbia con uno schiocco di dita, pure i monaci buddisti si incazzano, come si incazza ogni singola persona che lavora nell’ambito giustizia e, presi voi e messi nella mia condizione di stasera, dopo due anni così tutti i giorni, vorrei vedere dove andrebbero a finire i bei discorsi, vorrei vedere se prendereste una penna o una lametta. Ho fatto un cazzo di reato e lo pago senza chiedere niente a nessuno. Ci sono dei princìpi, però, che non devono mancare, né a me, né a voi.
Ore 3.30 di notte. Pensavo di aver finito di scrivere ma non riesco a stare in piedi dal dolore, continuo a cagare acqua, ogni quarto d’ora circa mi alzo per andare al bagno e parte la fitta. A proposito della penna, alla fine l’ho lasciata giù e ho tagliato alla cieca sul petto dalla frustrazione: all’1.27 l’appuntato mi vede grondare di sangue, io gli dico di chiamare il medico, s’è girato e se n’è andato. All’odio di prima si è aggiunto sangue gratuito. Grazie Nordio”