Dov’è la Giustizia riparativa?

Al di là della propaganda forcaiola

L’intero Sistema Penale poggia la sua ragion d’essere su una versione aggiornata della legge dell’occhio per occhio e dente per dente (vedi il codice di Hammurabi, re babilonese che regnò dal 1793 a C. al 1750 a. C.). La Giustizia ripartiva, in questo contesto, rappresenterebbe il superamento del concetto previsto dalla scolastica e inteso come il principio cosmico-sociale di un’unica legge basta sulla remunerazione e sulla pena, i cui risultati, da duecento anni a questa parte, rimangono discutibilissimi.
Il noto professor Eusebi, ordinario di Diritto penale nella Facoltà di Giurisprudenza della Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è solito ribadire: “Il Sistema Penale è la prima forma di tradimento del concetto evangelico del non giudicare”. Questa è una grande verità. La nostra è una società dove il Cristianesimo rappresenta un’icona che viene tramandata da millenni. Non tutti, però, sono consapevoli delle evidenti contraddizioni che inducono a predicare bene e razzolare male, accettando con stoicismo una delle più cruente barbarie che continua a colpire l’essere umano: la segregazione con l’idea di punire e far soffrire, mantenendo aperta e incentivando una sorta di faida tra il consesso sociale e l’autore del reato.
Una buona Giustizia, dovrebbe, con tutti i mezzi possibili ed immaginabili, adoperarsi per la ricomposizione dei conflitti venutisi a creare tra chi ha commesso il fatto-reato, la vittima e la società tutta. Non è possibile prescindere da questa idea. Una buona legge dovrebbe, anzitutto, mettere al centro la persona, il bene e il continuo sviluppo della civiltà della comunità entro la quale vive. Alimentare e creare opportunità che uniscono e non separino, che reintegrano e accolgano, senza esclusione alcuna. Prevenire adeguatamente, aiutare e accompagnare a comprendere l’importanza del Patto Sociale, anziché attendere di adottare le cosiddette misure di extrema ratio (carcere), che poi tanto estrema non è, come si vuol far credere.
Di fatto, questi principi, continuano ad essere utopia. Il carcere, in tutto questo discorso, non può far altro che essere l’esempio lampante di un sistema che incrementa fratture e fossati insuperabili tra chi ha commesso il reato e la collettività: anche quando si finisce di scontare la pena. Come se si fosse costretti ad avere tatuata sulla pelle la famosa Lettera scarlatta. Ecco che allora, varrebbe la pena investire, senza perdere ulteriore tempo, sul principio di Giustizia Riparativa, come già si sta sperimentando con successo e ottimi risultati nei paesi anglosassoni. Intendendo il percorso della pena come un qualcosa che serva veramente a rendere giustizia in senso lato, e in cui il concetto di vendetta e apertura di una faida, vengano concepiti come un qualcosa di altamente nocivo, dannoso per tutti.
La Giustizia Riparativa, sostanzialmente, andrebbe a scardinare quel concetto di pena vendicativa fine a se stessa, modificando non certo la penalità per favorire l’impunità, ma allargandone la sua visione, il principio e il modello. Nell’interesse di tutti, perché un carcere che produce delinquenza, rabbia, violando l’integrità della persona e i diritti umani, il cui onere grava sulla collettività, non è utile a nessuno.

Michelangelo D.

Autore dell'articolo: feniceadmin