C’è un capitolo dell’annuale “Rapporto sulle condizioni di detenzione” redatto dalla Associazione Antigone nel 2019 che riguarda la possibilità di seguire studi universitari in carcere. Ne riportiamo alcuni brani:
I poli universitari in carcere (a cura di Franco Prina)
Come per ogni aspetto della vita carceraria, non mancano norme che, “sulla carta”, affermano tra i diritti dei detenuti anche quello di perseguire gli studi, a diversi livelli, dunque anche universitari.
I principali richiami a tale diritto si collocano nel contesto della riforma dell’ordinamento carcerario che aprì, nel 1975, gli istituti, se così si può dire, alla logica e ai discorsi, ancorché non al loro effettivo riconoscimento dei diritti. Le formule utilizzate non sono così nette come l’affermazione di un vero e proprio “diritto” richiederebbe. All’art.19 della legge 26 luglio 1975, n.354 si afferma “è agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati”. Una agevolazione (assimilabile a un favore o a una concessione) che è cosa ben diversa dall’affermazione di un diritto pienamente esigibile.
-Un po’ più diffusamente la questione è affrontata con il DPR 29 aprile 1976 n.431 (regolamento di esecuzione della L26 luglio 1975 n.354) che dedica agli studi universitari due articoli, (il 42 e il 44) in cui ribadisce il principio dell’agevolazione per il compimento degli studi attraverso “opportune intese con le autorità accademiche per consentire agli studenti di usufruire di ogni possibile aiuto e di sostenere gli esami”.
-Sulla base degli accordi sollecitati dal citato art.42, si avviano in Italia molte esperienze in differenti istituti attraverso un numero crescente di università. Ma poco cambia sul piano normativo quando, con il DPR 30 giugno 2000 n.230 (regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) si modifica quello del 1976. L’art.44 riproduce il precedente 42. Salvo l’aggiunta di un comma che pone l’attenzione sull’esigenza di garantire alcune condizione che rendano più facile l’impegno per lo studio, i detenuti, studenti universitari, possono essere assegnati, ove possibile in camere e reparti adeguati allo svolgimento dello studio.
-Sul piano delle norme di diritto positivo in vigore, questo è praticamente tutto.
Negli anni più recenti, la questione del diritto allo studio universitario è tornata ad affacciarsi, purtroppo rimanendo sul piano delle ottime elaborazioni e delle pregevoli intenzioni, nei lavori degli Stati Generali sull’esecuzione penale che, nei loro documenti e nelle loro proposte, ne hanno ripreso il senso. Intanto affermando chiaramente che si doveva entrare in un ottica diversa, quella appunto di considerare lo studio un diritto, e prospettando alcune condizioni per renderlo effettivo: l’istruzione e la formazione professionale sono da considerare come diritti permanenti e irrinunciabili della persona, nell’ottica di un processo di conoscenze e di consapevolezze che accompagna il soggetto per tutta la sua “esistenza”. Sappiamo che l’amplissimo orizzonte di riforme che dai documenti elaborati dagli Stati Generali avrebbero dovuto trarre alimento si è tradotto in ben poca cosa. Così non stupisce che nei decreti legislativi di riforma dell’ordinamento penitenziario approvati il 27 settembre 2018, poco cambi dell’impostazione del quarto comma dell’ art. 19 della legge 26 luglio 1975 n.354, che ribadisce come siano agevolati la frequenza e il compimento degli studi universitari e tecnici superiori, anche attraverso convenzioni e protocolli d’intesa con istruzioni universitarie. Il termine “agevolazione” resta intatto, mentre non compare alcun riferimento al diritto.
Solo aspetto interessante la modifica dell’art.42 che riguarda i trasferimenti, in cui si prospettano due cose importanti: da un lato, l’esigenza di considerare lo studio, tra i criteri da considerare per la disposizione dei trasferimenti Il ragionare di studio come diritto ha fondamento nel principio che la privazione della libertà disposta come sanzione base al codice penale per determinati atti, non può implicare la compressione di altri diritti. Tuttavia, per questo, come per altri, il riconoscimento si fonda su affermazioni normative non certamente imperative, tali cioè da configurare una omissione in capo a responsabili delle istituzioni penitenziarie qualora non sia garantito. Di conseguenza possiamo dire che non è mai stata formulata, in questo campo, una “politica” che definisse a livello nazionale e per tutti coloro che si trovassero nelle condizioni di voler esercitare tale diritto, condizioni, impegni e risorse indispensabili allo scopo.
Di fatto la storia di ciascuno dei Poli negli istituti penitenziari è storia, spesso casuale, di un incontro tra tre interessi e volontà: gli interessi esplicitati da detenuti o rappresentati alle università da parte da chi è in contatto con loro (avvocati, volontari, parenti); le sensibilità e volontà di singoli docenti; le disponibilità di Direzioni e responsabili PRAP a favorire l’incontro tra detenuti e università e, in alcuni casi, a creare le condizioni per “agevolare” il compimento degli studi dei detenuti interessati.
-La possibilità di esercitare il diritto allo studio universitario non è data a tutti coloro che sarebbero nelle condizioni di esercitarlo e avrebbero l’interesse di farlo. Dipende dal carcere nel quale ci si trova, dalla capacità di attivazione presso le amministrazioni e le strutture didattiche universitarie di chi è in contatto con il detenuto interessato, dall’interesse e sensibilità di alcuni docenti. Per questo molte aree (intere regioni) e molti istituti penitenziari non offrono, almeno al momento, questa opportunità, non essendo questo né un impegno normativamente regolato sul versante delle università, né un vero e proprio diritto esigibile in maniera incondizionata.
Questo è un panorama di cui per la prima volta si ha piena consapevolezza, essendo stati raccolti una serie di dati importanti riferiti all’anno accademico 2019/20. La conferenza nazionale raggruppa al momento 30 università che sono presenti, in modi e con gradi di intensità variabili relativamente a numero di studenti e attività didattiche realizzate, in 70 istituti penitenziari (di tipi diversi). La distribuzione sul territorio di università e carceri è piuttosto ampia, anche se, vi sono alcune regioni, in cui l’incontro tra università e carcere non si è “ancora” concretizzato.
Nell’anno accademico 2019/20 sono, complessivamente, circa 800 gli studenti iscritti. In prevalenza detenuti, ma non mancano persone in esecuzione penale esterna che in genere hanno intrapreso gli studi in carcere e li proseguono nel momento di ottenimento di benefici (a volte essendo la prosecuzione degli studi elemento importante del programma sottoposto alla valutazione del Magistrato di sorveglianza).
Concludendo, avendovi spiegato dettagliatamente come funzionano gli studi e i trasferimenti, vi assicuriamo che tutto ciò che è previsto è bello ma purtroppo nel senso pratico non è così, bisogna lottare anche per un singolo trasferimento per studiare, o poter partecipare a concorsi proposti da altri istituti.
I trasferimenti per motivi di studio, professionali o lavoro dovrebbero essere garantiti, assicurati e non che devono essere valutati perché ciò che si chiede fa parte del trattamento intramurario e non è che uno non vuole restare in un determinato istituto penitenziario ma esistono istituti che non hanno nulla da offrirti, perciò se vuoi dare una svolta alla tua vita interna devi migrare in un altro istituto mirando bene a ciò che possa offrirti.
Nemmeno chiedessimo di poter andare a casa nostra, noi chiediamo semplicemente un trasferimento per poter sfruttare questo tempo al meglio, per arricchire noi stessi e poter dare una nuova immagine e tutto ciò che di buono abbiamo appreso un giorno poterlo portare all’infuori di queste mura e magari renderlo utile per il futuro.
A presto un saluto
OMAR P.
UOMO OMBRA ANGELO S.
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