LA VENDETTA
Vivevo nella magnifica città Berlino, sono italiano, mi sono trasferito molti anni fa in Germania, ho completato gli studi che mi hanno dato la possibilità di diventare un avvocato penalista, il mio sogno si è avverato.
Un giorno mi trovai in giro per la città, era il mio giorno di riposo, quindi decisi di impegnarlo tutto per me, mi fermai a guardare le vetrine della città, mancavano pochi giorni al Natale ed io ero molto ansioso, soprattutto perché dall’Italia avrebbero dovuto arrivare i miei genitori che non vedevo da anni, questo mi rallegrava molto, anche perché volevo fargli vedere come mi ero sistemato economicamente; viaggiavo su una BMW735 versione America, stupenda, e abitavo nel quartiere più bello di Berlino che non tutti si potevano permettere, io naturalmente avevo un bel lavoro ma soprattutto un’entrata di denaro non indifferente.
Dopo una giornata passata in città, decisi di tornare a casa, il sole stava tramontando, e l’aria si era fatta molto fresca tanto che avevo deciso di mettermi un dolcevita sopra la camicia. Andai a recuperare la macchina in un sottoparcheggio a pagamento, nel tragitto che portava all’interno vidi due individui strani, io tirai diritto per la mia strada, all’improvviso mi seguirono proprio dove avevo l’auto. Senza dare importanza ai due soggetti aprii il bagagliaio per mettere delle borse di acquisti fatti nel pomeriggio; chiusi il baule e all’improvviso mi vidi arrivare in faccia un tubo di ferro.
Due settimane dopo mi svegliai in ospedale, aprii gli occhi e vidi mia madre che mi teneva la mano, scoppiai in un pianto liberatorio, chiesi: “ma cosa faccio qui?” Arrivò il dottore e mi mise al corrente di quello che mi era successo, non potevo credere alle sue parole, mi toccai la faccia e mi accorsi che ero bendato, allora capii la fortuna che ebbi per essere ancora vivo. Dopo qualche settimana uscii dall’ospedale, purtroppo Natale era già passato, non avevo potuto stare con i miei e festeggiare la giornata più importante dell’anno.
Arrivammo a casa, i miei genitori erano con me, feci delle domande a mia madre chiedendole se sapeva altre cose su quello che mi era successo, lei mi disse: “no, non so nient’altro”. Dovevo andare al più presto al commissariato per sapere la verità della mia disavventura.
Il giorno dopo ci andai e chiesi di un tenente che avevo conosciuto in una udienza qualche mese prima. Trovai il tenente e mi mise al corrente di come erano andati i fatti, erano stati registrati da una telecamera, io gli dissi “Bene: cosi possiamo individuare gli aggressori”. Passarono tre settimane, un giorno mi chiamò il tenente e mi disse che voleva vedermi nel suo ufficio, io dissi, “ok passo subito da lei”. Tempo dieci minuti e fui in commissariato, mi stava aspettando nel suo ufficio, mi fece accomodare e mi disse: “mettiti comodo”.
Iniziò la registrazione di quella sera, vidi tutta la scena, vidi gli incappucciati che mi sferravano la bastonata in faccia, rimasi senza parole. Il tenente disse: “l’unica prova che abbiamo sono le impronte sulla barra che hanno lasciato, abbiamo emesso un ordine di cattura nazionale ma fino ad ora non c’è stata notizia, però posso farti vedere le foto segnaletiche e dimmi se riesci a riconoscere qualcuno tra di loro. Io risposi: “penso propri di sì”. Riconobbi la persona, era un turco che avevo difeso qualche anno fa, ma alcune prove lo avevano inchiodato e si era preso tre anni di carcere.
Ritornai a casa, decisi che non potevo trascurare i miei genitori arrivati apposta dall’Italia per trovarmi e stare un po’ con il proprio figlio, quindi decisi di portarli fuori a cena in città, trascorremmo una bella serata, di ritorno a casa mi accorsi dallo specchietto della macchina che qualcuno ci stava pedinando, feci finta di nulla, per non far preoccupare i miei genitori. Al rientro a casa, mi misi a guardare giù dalla finestra e intravidi una persona che guardava verso il mio appartamento. All’improvviso l’individuo si mise in macchina ed andò via, riuscii a riconoscere la targa, presi i primi numeri e li annotai su un foglio, mi chiesi cosa volevano dalla mia vita e non trovai risposta logica.
La sera stessa cercai di contattare il tenente telefonicamente, senza risposta, e allora decisi di lasciargli un messaggio in segreteria. Il giorno successivo dovevo accompagnare i miei genitori all’aeroporto per il ritorno in Italia, mi dispiacque molto di non essere stato al centro della loro visita. Mia mamma, mi disse che l’importante era che io stessi attento e che la tenessi informata sulle indagini. Intanto il tenente aveva ascoltato il messaggio inserito nella segreteria e subito mi chiamò, con delle novità mi disse: “ieri sera in un controllo è stato freddato il ragazzo turco e aveva con sé delle foto che ritraevano la tua persona come se fossi un bersaglio”, allora io con molta schiettezza gli dissi: “posso stare tranquillo allora è tutto finito!” Il tenente rispose: “questo non glielo posso garantire, comunque il turco è morto”.
Ero più tranquillo, mi resi conto che era solo stato un brutto incidente nella mia vita, volli voltare pagina e dedicarmi al mio lavoro che mi appassionava molto, quindi ritornai in ufficio. Intanto all’aeroporto, i miei genitori aspettavano la chiamata del volo ma improvvisamente, mio padre si sentì male e svenne al centro della sala d’aspetto, i soccorsi furono tempestivi, venne accompagnato al centro medico dell’aeroporto. Arrivato in ufficio, Sonia, la mia segretaria, mi chiese se mi ero rimesso dall’incidente, le risposi di sì e ad un tratto suonò il campanello, un ragazzo di colore consegnò un pacchettino senza provenienza, era solo intestato a me e perciò lo presi e portai nel mio ufficio per vedere cosa conteneva. Squillò il telefono, guardai il display e vidi il numero di mia madre, rimasi molto stupito perché a quell’ora dovevano essere già imbarcati, mi disse: “siamo in aeroporto, tuo padre non è stato bene e quindi siamo al centro medico”, io le risposi: “arrivo subito mamma”. Dissi a Sonia che dovevo uscire per un’urgenza, presi le scale e rapidamente arrivai all’auto e all’improvviso sentii un’esplosione, guardai in alto in direzione del mio ufficio e vidi una palla di fuoco e molto fumo, capii che era successo qualcosa di grave, ma allo stesso tempo mi venne in mente il pacchettino che avevo ricevuto, scesi dalla mia auto, chiesi aiuto e chiamai subito i soccorsi che arrivarono tempestivamente.
Dopo un certo tempo domandai al capitano dei vigili del fuoco se c’erano feriti, e lui: “ma perché lo vuole sapere?” Gli risposi che si trattava del mio ufficio, allora mi rispose: “sì una signorina è rimasta coinvolta nell’attentato!!” Io dissi: “attentato??” Mi rispose: “Sì proprio così”. Sonia era stata trasportata in ospedale per delle precauzioni e un controllo dell’udito per lo scoppio devastante che c’era stato. Mi chiamò il tenente per chiedermi come stavo, aveva saputo dell’accaduto, gli dissi: “si sono rimasto illeso, non ero in ufficio, è stata coinvolta la mia segretaria ma fortunatamente senza problemi gravi”.
Dopo qualche giorno la situazione sembrava tranquilla, la mia segretaria si era rimessa dallo spavento, i miei genitori mi avevano salvato la vita, ed erano rientrati in Italia. Ritornai nel mio ufficio dopo averlo ricostruito dall’esplosione e mi venne in mente di guardare gli incartamenti che avevo riguardanti il caso del ragazzo turco che difesi qualche anno fa, però mi ricordai che all’uscita dell’aula del tribunale la sua compagna, si avvicinò e mi disse: “non ha fatto l’impossibile per mio marito, questo non mi è piaciuto, sentirà ancora parlare di me”.
Questo fatto doveva essere fatto presente al tenente, era molto importante secondo me, lo chiamai e gli riferii quello mi aveva detto la compagna del ragazzo turco, lui mi disse che l’elemento che gli stavo dando poteva essere solo frutto della mia immaginazione, ma gli ribadii la mia certezza di questo mio ricordo. Allora, il tenente si mise subito in moto per rintracciare la signora descritta da me.
Passarono dei giorni, era tutto tranquillo, finché un pomeriggio, mentre facevo due passi in centro, dovetti attraversare la strada per vedere altre vetrine, sul viale alberato della parte opposta, quando un’auto a tutta velocità tentò di investirmi, riuscii a svicolare l’impatto, ma riuscii a vedere chi c’era al volante, era una donna, dedussi che poteva essere lei al volante. Mi fermai dall’altro lato della strada, assistito da persone che chiedevano come stessi ed avevano visto la scena dell’accaduto, anche loro erano rimasti traumatizzati. In quel momento arrivò la Polizia, mi fece qualche domanda ed io risposi senza problemi, dopo di che arrivò anche il tenente molto preoccupato dell’accaduto e con un tono di voce contrito, mi disse: “non sono ancora riuscito ad individuare la donna in questione”.
Dopo qualche giorno mi squillò il telefono, ebbi delle buone notizie, era stata individuata la compagna del ragazzo turco morto, risiedeva in una cittadina a poca distanza dalla capitale e le forze dell’ordine la stavano andando ad arrestare. Poco dopo il tenente fu chiamato da uno dei suoi uomini dicendo che la donna al momento del suo arresto era riuscita a fuggire con un’auto ed era stato già diramato un avviso di ricerca della persona in fuga. Io non riuscivo più a credere a quello che mi stava succedendo, questi attentati alla mia persona mi stavano rovinando la vita e non sapevo quanto avrei ancora resistito di questo passo.
L’indomani ero nel mio appartamento, guardai la televisione e scorsi la notizia di un conflitto a fuoco avvenuto la sera prima a Pfullendorf, era stata uccisa una donna di trentaquattro anni che aveva aperto il fuoco contro un posto di blocco. Mi chiamò il tenente e mi mise al corrente dell’accaduto, aggiungendo: “ora devi solo stare tranquillo, è tutto finito”.
Queste parole mi restarono impresse per molto tempo perché veritiere, la mia vita continuò al meglio, guardai avanti e mi lasciai tutto alle spalle.
Da avvocato devo solo dire: “il caso è chiuso”.
Franco C.