Quanti omicidi efferati abbiamo conosciuto nello scorcio della nostra vita: il bambino sciolto nell’acido,
perché figlio di un pentito di mafia, il padre che getta il figlio di pochi mesi dal ponte, la madre che fa
schizzare il cervello del figlio di pochi anni sul soffitto della camera, i giovani fidanzatini che uccidono
una mamma e suo figlio di pochi anni, il figlio che uccide i genitori e poi va in discoteca, il ragazzo che
uccide la fidanzata e poi brucia il cadavere.
Li abbiamo commentati e siamo rimasti orripilanti davanti alla crudeltà immane di azioni contro la vita.
Oggi assistiamo e commentiamo l’omicidio di una giovane donna e del bambino che portava nel grembo ad opera del padre di quella vita che ancora doveva affacciarsi al vivere quotidiano. La reazione popolare è come sempre giustamente virulenta perché il male fa male. Il male fa sanguinare le nostre anime, violenta le nostre coscienze, ci fa invocare l’ira di Dio descritta nel Vecchio Testamento.
Il male sollecita l’istinto di vendetta che tutti ci portiamo dentro. Il male crudele contro l’innocente riporta
alla memoria collettiva l’esigenza della legge del taglione. Eppure quel principio giuridico di perfetta
giustizia retributiva non si conforma mai ai dettami di giustizia contenuti nel nostro sistema giuridico. Ci
sono ordinamenti di Paesi democratici che condividono il principio di retribuzione estrema davanti a
condotte efferate, ma il nostro sistema costituzionale non ha condiviso una tale declinazione del concetto
di giustizia. Ci sono ordinamenti di altri Paesi democratici che davanti a condotte aberranti quali omicidi
di massa fissano il limite massimo di carcerazione a vent’anni. Il nostro sistema giuridico prevede per le
condotte più gravi la cosiddetta morte civile, ovvero l’ergastolo, il fine pena mai, eppure anche in questi
casi è previsto un temperamento del rigore con il passare del tempo e il ravvedimento dell’assassino.
“Il rigore della giustizia non può mai sposarsi con il principio di vendetta, altrimenti alimenteremmo il
sangue col sangue, secondo una spirale infinita”.
CIT. Giudice Pietro Bravarone
Molti sono contrari alla pena di morte per motivi religiosi, etici, ecc.. e invece non lo sono per la pena
dell’ergastolo e non si capisce bene il perché. Le possibilità sono due: o pensano che l’ergastolo sia meno
doloroso della pena di morte, o può essere anche il contrario, con la pena di morte cessa la sofferenza
della pena e quindi la vendetta.
Premetto che la vendetta soggettiva, per esempio di un padre a cui è stato ucciso un figlio, va compresa e
capita, ma certamente non può essere capita la vendetta di Stato o della moltitudine di una società
moderna. Non è giustizia una vita per una vita perché tenere una persona dentro una cella una vita non
serve a nessuno e molti ergastolani preferirebbero prendere il posto nell’aldilà delle loro vittime, oggi
nessuna delle nostre azioni può cambiare il nostro passato, ma oggi voi potete cambiare il nostro futuro,
guardate e giudicateci con il nostro presente e non più per il nostro passato. Lo spirito di vendetta dopo
tanti anni è ingiustificato nei confronti di persone che sono cambiate interiormente.
“La rieducazione prevista dall’articolo 27 della costituzione è il cuore della pena, essa vale per tutti i
condannati, quindi, anche per gli ergastolani, che senso ha la rieducazione del condannato se si mantiene
la perpetuità della pena? A che fine rieducare un soggetto se non sarà mai più reinserito nella società?”.
CIT. Alessandro Margara, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze.
“Tutti portiamo in noi il nostro ergastolo, i nostri delitti e le nostre devastazioni: ma il nostro compito
non è quello di scatenarli attraverso il mondo; sta nel combatterli in noi e negli altri”.
CIT. Albert Camus.
Michelangelo D. (Uomo Ombra)
con la collaborazione di Valerio R.