Facciamo parte della popolazione detenuta nella Casa Circondariale di Ivrea, rappresentati dalla redazione “la Fenice” che ci dà una voce dall’interno, e venuti a sapere di questo importantissimo incontro tra la cittadinanza, le associazioni culturali della zona e Don Ettore Cannavera siamo entusiasti di esprimere un giudizio ed un parere per questa iniziativa.
Innanzitutto ci teniamo a render pubblico il nostro apprezzamento per lo sforzo profuso da Don Cannavera e dal suo staff nel dare un’opportunità concreta a detenuti affinché finiscano il loro percorso più preparati per il futuro, consapevoli dei loro sbagli e più coscienti delle loro responsabilità.
Crediamo che per come sia strutturata ed organizzata, il modello “La Collina” sarebbe da esportare in tutte le regioni d’Italia, motiverebbe chiunque a farne parte poiché garantirebbe l’imprescindibile binomio casa-lavoro da cui molti di noi devono ripartire.
In questo senso la discussione interna circa questo argomento è diventata frenetica e stimolante e raccoglie pareri ed idee che ogni detenuto porta con sé attraverso la propria esperienza.
A tal proposito trascriviamo alcune singole opinioni sul “paradosso carcere”…
– Personalmente la cosa che più mi ha colpito dal momento del primo ingresso è il totale e deleterio
isolamento sia sociale che mediatico che un carcerato vive, (io attingo alle notizie dal televideo Rai
ancora come vent’anni fa) rendendo quasi impossibile un progressivo rinserimento adeguato senza creare un deleterio “gap” penalizzante difficile da colmare se non preparati a dovere.
– Kelvin, ragazzo intelligente che ha dovuto percorrere un lungo viaggio sofferente dalla Nigeria per
arrivare al continente Europa, pensa che le divisioni all’interno di una Casa Circondariale andrebbero
abolite dando stesse opportunità di studio e lavoro per tutti i detenuti a prescindere dal loro reato.
Inoltre fa notare che dopo un buon percorso all’interno di una galera, nella quale si è dimostrato un positivo cambiamento ognuno dovrebbe avere la possibilità di lavorare all’esterno.
– Molto interessante, come sempre, è il pensiero del nostro “Uomo ombra” che intitola il suo profondo
scritto RIMANI UMANO.
“Dentro la realtà carceraria è fondamentale restare umani, ma spesso non ci è chiaro come riuscire a
farlo.
Ci siamo imbarcati in questo percorso di studi pensando che fosse utile imparare nuovi concetti e
discuterli in un momento buio della nostra vita… il periodo in carcere per l’appunto.
Questi incontri ci hanno fatto capire che per restare umani abbiamo bisogno di cultura… scambi di idee,
dialogo e conforto ed anche l’attualità a partire dalle notizie del giornale.
L’esperienza di questi anni con “La Fenice” ci permette di affermare che attraverso la possibilità
d’intraprendere percorsi d’un certo tipo, che richiedono l’assunzione di responsabilità personale e
collettiva, si mette in moto un meccanismo virtuoso che è impossibile non sostenere e promuovere con le
giuste intenzioni.
In altri termini, come persone che hanno scelto di mettersi in gioco, progettando e dando forma a nuove
idee e rivisitando criticamente il proprio trascorso, emerge la necessità di trovare sempre più sostegno e
partecipazione da parte di tutti.
Gli stimoli ed i rinforzi positivi sono fondamentali e di vitale importanza, mentre ci preme ricordare che
il carcere è un quartiere della città, abitato da persone uguali ed identiche a tutte le altre e che
presto o tardi rientreranno a far parte del contesto sociale.
Perché allora non lavorare assieme affinché anche i cittadini detenuti possano offrire il loro contributo
attraverso attività e condotte riparative che diano senso e significato alla pena che stanno scontando?”
Chiunque volesse approfondire le nostre tematiche è invitato a leggere e commentare i nostri articoli on-
line sempre pieni di spunti interessanti sul sito “varieventuali” (La Fenice).