Le prigioni sono una catastrofe, ma è vietato arrendersi

Riprendiamo un articolo di Franco Corleone dall’Unità del 9 aprile

Il cimitero dei vivi

Dall’edilizia penitenziaria alla demagogia sui detenuti tossicodipendenti, dall’equipaggiamento degli agenti all’ipocrisia sui suicidi in cella: la mozione della maggioranza sull’emergenza carceraria è stata una vera provocazione. Bisogna protestare, scioperare, digiunare.

Pensavo di avere già scritto tutto su quello che serve fare per il carcere (l’Unità, 8 marzo). Avevo anche richiamato il saggio di Grazia Zuffa “Ripensare il carcere, dall’ottica della differenza femminile” – addirittura di dieci anni fa – quale possibile manifesto per avviare una riforma necessaria e radicale, prima che sia troppo tardi. Ma di questi tempi, sul punto e in generale, la realtà corre assai rapidamente verso il baratro.

Sono quindi costretto a reintervenire dopo l’esito della discussione alla Camera dei deputati, con l’esame delle mozioni presentate dall’opposizione e l’approvazione di quella della maggioranza. La mozione del centrodestra è una vera provocazione. Infatti, la premessa si rivela un mattinale del governo sui meriti acquisiti nei due anni di attività. Nulla viene detto sull’avere licenziato due capi del Dap e sul fatto anomalo di una gestione affidata a una vice facente funzione. Nulla sui record di suicidi negli ultimi due anni. Molto spazio è invece dedicato al minorile, colpito da un sovraffollamento inedito grazie alle misure varate da questo governo (ricordate il decreto Caivano?). La parte dedicata agli adulti è impressionante per la protervia e la iattanza con cui si descrive la difficile condizione degli istituti penitenziari attribuita però alle “rivolte carcerarie esplose a marzo 2020 durante la pandemia da Covid, che hanno lasciato profonde ferite sia nelle strutture che nel morale di chi vive e lavora in carcere”, omettendo i tanti morti avvenuti nel carcere di Modena e i pestaggi.

L’intollerabilità delle condizioni di vita quotidiana e la negazione dei diritti fondamentali, primo tra tutti quello alla salute, a causa del sovraffollamento e delle logiche di gestione, è liquidata con l’affermazione che “tutti i detenuti, tuttavia, fruiscono nelle camere di pernottamento di una superficie media di almeno 3 metri quadrati come da standard fissato dalla Cedu”. Evidentemente la vergogna di un cesso per otto persone e la conseguente mancanza di dignità non turbano Maria Carolina Varchi, prima firmataria della mozione. La questione della possibilità di un provvedimento di amnistia e/o indulto è sbrigativamente cancellata, perché non bisogna “dare l’idea di uno Stato che non persegue i propri obiettivi di legalità e sicurezza per meri limiti organizzativi”. Infine, la conclusione apodittica e irrealistica: “il sovraffollamento carcerario si combatte con la creazione di nuovi posti detentivi mediante la costruzione di nuovi istituti e di nuovi padiglioni per far fronte ai 10.000 posti attualmente mancanti”. La grossolanità è così enorme che cascano le braccia e prevale il senso di inutilità di confrontarsi sul carcere come extrema ratio e sull’eliminazione della detenzione sociale come da decenni indicano e argomentano associazioni, operatori e giuristi (tra i tanti e le tante, ricordate il grande Sandro Margara?).

Eppure, sempre da lì occorre testardamente ripartire, pena appunto arrendersi al disastro incombente. Bisogna insistere su una dimensione della carcerazione limitata ai reati di sangue, ai delitti gravi contro la persona, l’ambiente, l’economia, legati alle organizzazioni criminali che potrebbe riguardare al massimo trentamila individui. Molti soggetti oggi destinati alla prigione dovrebbero invece usufruire nella vasta gamma di misure alternative alla detenzione possibili e presenti nell’ordinamento, allo stesso modo in cui ne fruiscono già circa novantamila persone. Anche una misura di clemenza non può certo essere etichettata come scandalosa, visto che fino al 1990 se ne faceva un uso bulimico e che, del resto e non per caso, è una misura prevista dalla Costituzione. Certo, affinché non si traduca in un pannicello caldo, un provvedimento deflattivo dettato dal senso di umanità e/o dal pragmatismo dovrebbe essere accompagnato dalla previsione del “numero chiuso” e dall’istituzione delle “Case di reinserimento sociale” per i detenuti con meno di dodici mesi di pena residua.

Case diffuse in città e paesi, di piccole dimensioni e gestite dal Sindaco, dai servizi sociali e dalle associazioni del volontariato, favorendo così un effettivo reinserimento sociale. Non sarebbe una novità, visto che centinaia di case mandamentali erano presenti in Italia dal 1940 fino ai primi anni del 2000. Si tratterebbe di una soluzione poco costosa e legata ai principi costituzionali; si potrebbero ristrutturare le carceri, impegnare risorse per dare case e non caserme al personale della polizia penitenziaria e inverare l’articolo 27 della Costituzione. Le soluzioni demagogiche, ideologiche e mistificatrici rivolte ai detenuti classificati come tossicodipendenti e malati di mente sarebbero così spazzate via.

Invece, nel dispositivo della maggioranza governativa si prevedono solo migliaia di nuove celle e tanto lavoro non qualificato per i detenuti, con ingiustificata enfatizzazione sulle prospettive offerte dai progetti del Cnel. Viene poi sparsa a piene mani retorica sulle strutture chiuse per tossicodipendenti e per soggetti psichiatrici o comunque fragili. La fragilità non si nega a nessuno e quindi si prevedono subito tre nuove comunità sperimentali per coniugare sicurezza e trattamento. Si manifesta un entusiasmo fuori luogo per la costruzione del nuovo carcere a San Vito al Tagliamento (invece che a Pordenone) con 300 posti per “importare” detenuti in Friuli-Venezia Giulia a dispetto del principio della territorialità nell’esecuzione della pena, imitando la realtà del carcere di Tolmezzo in cui non è presente nessun detenuto della Carnia. La sbornia edilizia è accentuata dalla costruzione di otto nuovi padiglioni all’interno di altrettanti istituti da nord a sud, 92 nuovi posti nella sezione 41bis a Cagliari-Uta e, dulcis in fundo, l’operazione blocchi di cemento armato predisposti dal commissario Marco Doglio per contenere corpi e che saranno depositati nelle aree verdi delle carceri, che così verranno cancellate o limitate. In definita e nel complesso si tratta di un programma dissennato, che ricorda quell’operazione “carceri d’oro” che denunciai nella decima legislatura al Senato.

La lettura del testo diventa pure esilarante con l’elenco delle meraviglie immaginate: annunci di assunzioni a go-go di agenti di polizia penitenziaria; istituzione del Gruppo di Intervento Operativo (GIO) per fronteggiare rivolte o sommosse; carriera dei medici del corpo di polizia penitenziaria; specializzazioni varie, da quella cinofila a pilota di droni, e, infine, Divisioni del Dap dirette da primi dirigenti della polizia penitenziaria. In tal modo, saranno “per la prima volta gli uomini e le donne in divisa ad amministrare gli affari del Corpo”. Per chiudere in bellezza, l’annuncio dell’acquisto di 18.700 scudi antisommossa, 2400 nuovi sfollagente, 10.200 caschi antisommossa: così ci si prepara alla guerra. Non varrebbe la pena di commentare siffatti impegni al Governo, se non quello di “continuare a lavorare per contrastare e prevenire il grave fenomeno dei suicidi in carcere, proseguendo il cammino intrapreso di potenziamento della rete di assistenza psicologica e di reclutamento di adeguato personale specializzato sia per i detenuti che per il Corpo di Polizia penitenziaria”. I 27 morti dall’inizio di quest’anno fino a oggi ringraziano (o maledicono) dall’aldilà per questa offensiva ipocrisia.

Oltre 120 anni fa, nel 1904, il deputato socialista Filippo Turati pronunciava una dura requisitoria contro lo stato delle carceri, pubblicata con un titolo assai evocativo: “il cimitero dei vivi”. Oggi possiamo parlare di un cimitero e basta. Che dire delle mozioni dei 5Stelle e delle opposizioni unite? Contenuti deprimenti e ripetitivi con richieste di assunzioni a tappeto di personale e addirittura – nella mozione dei 5Stelle – la richiesta di implementare la capienza e il numero delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), dando fiato alla nostalgia da parte del ministero della salute per il manicomio. Per fortuna, nella mozione delle opposizioni si valorizza la richiesta di Papa Francesco in occasione del Giubileo a favore di “forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in se stesse e nella società, percorsi di reinserimento nella comunità”, si denuncia la non applicazione della sentenza n. 10 del 2024 sul diritto alla affettività e a colloqui segnati dalla riservatezza.

Tuttavia, è un po’ poco, diciamo la verità. La situazione è intollerabile e non possiamo affidare la protesta ai soli detenuti, poiché, dopo l’approvazione del decreto sicurezza, rischieranno anni di carcere anche per le forme di resistenza passiva e di atti nonviolenti per affermare i propri diritti. Quando non sopportano il vuoto e la mancanza di senso e di speranza offrono il loro corpo come testimonianza dei senza voce. Fuori dal carcere si deve allora manifestare, in forme anche nuove e originali, con presenze davanti alle carceri delle famiglie dei detenuti, con digiuni giornalieri di massa e a staffetta in una sorta di ramadan laico, con il boicottaggio di alcol e tabacchi come nel Risorgimento e nella Resistenza al fascismo, con richieste di intervento ai vigili del fuoco per verifiche della sicurezza di strutture che hanno il doppio delle presenze regolamentari o alle ASL per le condizioni di igiene e profilassi, e così via. È così folle pensare a uno sciopero delle associazioni di volontariato e a lanciare l’invito agli agenti di Polizia penitenziaria di sottoscrivere un appello per l’indulto (garantendo l’anonimato)? Sarebbe davvero straordinario se il venerdì prima di Pasqua le campane di tutte le chiese suonassero a morto per richiamare al bisogno di una resurrezione a cominciare dagli ultimi.

Di Franco Corleone

Autore dell'articolo: feniceadmin