In passato ci finivo sempre. Per cercare di passare il tempo dormivo, leggevo, mangiavo, mi allenavo, fumavo e pulivo la “cella” tutti i giorni. Non ho mai voluto dare la soddisfazione di far sentire che mi lamentavo o che stavo male. Tenevo tutta la rabbia e la solitudine dentro, pensando in continuazione e innervosendomi spesso.
La cella d’isolamento di solito è al piano terra, c’è poca luce e d’estate la si può definire “un forno” vero e proprio, molte volte non c’è nemmeno la televisione. Nella maggior parte degli istituti, dovresti essere visitato tutti i giorni dal medico … ma non succede mai, puoi andare all’aria da solo sempre in una specie di buco dove riesci a fare quattro o cinque passi avanti e indietro e due o tre passi a lato, con una griglia sopra la testa che non ti dà neanche la possibilità di vedere bene il cielo. Ti fa sentire come un animale in gabbia e ti crea rabbia, ti rende nervoso e incazzato con tutti. La maggior parte delle volte si finisce in isolamento con la massima punizione che è di quindici giorni e per di più si è esclusi dalla graduatoria del lavoro per un periodo che può arrivare a sei mesi.
Molte persone in carcere non hanno la fortuna di avere parenti o amici che si prendono cura di loro e sono costretti ad aspettare il loro turno di lavoro per potersi comprare un pacchetto di tabacco o le cose di cui hanno bisogno, a volte i volontari donano qualcosa.
Una persona che va in isolamento e non ha nulla quando esce non può lavorare, sembra di entrare in un cerchio, perché cerchi di poterti mantenere e quindi rischi rapporto e isolamento di nuovo, molte volte diventa un tunnel dal quale non si esce o tante volte lo diventa solo per la rabbia che ti tieni dentro che poi esplode e ti metti nei guai.
Alessio P.
Per contattare la Redazione La Fenice o commentare l’articolo scrivi a: [email protected] oppure accedi a Facebook alla pagina La fenice – Il giornale dal carcere di Ivrea (@lafenice.giornaledalcarcere)