Condannati a parlare di idiozie

La giornata in redazione rappresenta un’evasione dalla quotidianità, all’interno di questo luogo di riflessione e pensiero ognuno porta il suo contributo di esperienze di voci che parlano basso, che cercano di trovare il coraggio di gridare una coerente verità.

Mi chiamo Michelangelo D. e sono uno degli aspiranti giornalisti della redazione “La Fenice”, aperta qui a Ivrea da Olivia, professoressa di lingua inglese, e da Francesco, redattore di un sito esterno su cui vengono pubblicati i nostri scritti.

Quest’anno la redazione della Fenice compie 5 anni di attività. Tutta l’attività è volta al recupero ed al reinserimento dei detenuti, con l’obbiettivo che questi intraprendano la via della legalità una volta finito di scontare la pena, per chi ha un fine pena.

Per un anno e più ho frequentato la redazione all’interno del gruppo di discussione, ora da circa 4 anni ne faccio parte a tempo pieno. Quando ho chiesto di di frequentare la redazione , l’ho fatto più che altro per curiosità. Le prime volte che mi sono trovato seduto attorno al tavolo di discussione ero imbarazzato e non sapevo neanche esprimermi. Poi Olivia e gli altri volontari mi hanno aiutato ad uscire da quello stato di mutismo e da quell’antica sub-cultura che si era radicata nella mia mente. Oggi posso dire che ho ritrovato la parola, mi si sono riaperti gli occhi e riesco a vedere le cose sotto un’altra luce. È stato un lungo percorso quello che mi ha portato al cambiamento: ci sono stati momenti di vera difficoltà nel capire come una persona, dopo 40 anni di carcere possa voltare pagina. Se tutto questo è stato possibile è perché mi sono imposto di acquisire nuovi strumenti, come quello di scrivere, di sapermi esprimere, superando quella timidezza che per tanti anni mi ero portato dentro. In questi Istituto la svolta è stata quella di potermi confrontare con la Società, subendo anche delle critiche che mi hanno messo davvero a dura prova, facendomi maturare sempre di più la consapevolezza degli errori commessi nella mia lontana gioventù. Per molti anni mi sono messo ad ascoltare le tante testimonianze dei miei compagni di detenzione, per comprendere come dovevo rispondere ai volontari. Certamente, dietro tutto questo c’è stato un faticoso lavoro che ancora affronto, rivolgendo uno sguardo diverso al mio passato. Mettersi in gioco, porgere il viso alla Società e magari spiegare le cause che mi hanno indotto a prendere una strada sbagliata, non è stato semplice.

Quanti anni sono passati e quanti Istituti ho dovuto girovagare per dimostrare che un ragazzo fattosi uomo nelle patrie galere ha radicalmente la sua direzione di marcia. Se tutto questo è stato possibile, lo devo alla redazione “La Fenice” ed ai volontari che hanno lavorato al mio fianco, aprendomi gli occhi e la mente. Tante sono state le salite per chi vive una condanna con un fine pena nel 9999 (mai!), e in più di 40 anni trascorsi dietro muri alti oltre la mia veduta, ci sono stati momenti di sconforto, di delusione, la voglia di non credere più a nessun. Per puro caso, quattro anni fa sono capitato in questo carcere, che non è una bellezza ed ha i suoi difetti, anche se forse meno della stragrande maggioranza degli Istituti di Pena del nostro Paese e quando mi è stato proposto di andare a catechismo , non mi sono tirato indietro, perché dovevo superare le mie paure e difficoltà. Ma tutto è iniziato con scetticismo, perché ero talmente convinto che nessuno mai mi avrebbe teso una mano, che mi ero fossilizzato dietro le mie ragioni da stupido, perché non capivo, non avevo quelle nozioni che adesso mi permettono di ragionare con più chiarezza. Ascoltando le persone che mi seguono con fiducia, ho imparato ad accettare la fragilità che esiste dentro ognuno di noi, adesso sono una persona più limpida e determinata perché sono orgoglioso del mio cambiamento, che da solo non potevo fare, non ne ero capace, non c’erano gli stimoli giusti, né le persone adatte che mi seguissero con interesse. Perché nessuno si può educare da solo, vivendo una carcerazione da “ghetto”, e questa è stata la mia carcerazione prima di approdare in questo Istituto.

Se alcuni spiragli si sono aperti nella mia vita, lo devo ai volontari come Ada, Marta, Chiara ma soprattutto a Olivia e Francesco che mi hanno condotto verso un mondo di confronto e dialogo, mettendomi davanti alle mie responsabilità, lavorando sul mio terribile passato, giorno dopo giorno ed ascoltando tutte quelle parole sulla responsabilità che prima erano incomprensibili per me. Oggi sono in grado di rispondere a qualsiasi domanda dei volontari, usando le parole giuste, imparando il rispetto delle regole ed affrontando a viso aperto qualsiasi critica senza voltarmi dall’altra parte. Tutto questo per me è stato ed è tutt’ora la redazione della Fenice.

Dal saggio di Albert Camus “L’uomo in rivolta”, ricordo di aver letto…

L’uomo che dice no, è anche l’uomo che dice si”

Michelangelo D.

(Uomo Ombra)

Autore dell'articolo: feniceadmin