Il primo ingresso

In questo articolo a differenza di molti altri in cui ho mantenuto riserbo e distanze, cercherò di premere molto sul lato personale per poter trasmettere le emozioni che ho provato e magari provocare nel lettore una reazione.
È passato un po’ di tempo ormai, ma descrivere il mio primo ingresso in galera ancora adesso non è di certo facile. Devo toccare corde emotive ed esporre quel tumulto confuso di sensazioni che francamente vorrei dimenticare, ma giusto per delineare meglio la tempistica dell’arresto e la disgrazia che ne è
scaturita di conseguenza, insieme al crac psicologico che ne è derivato, questo pezzo racconta anche in
base alla mia personalità, la reazione ad una grandissima ingiustizia.
Quel sabato mattina le forze dell’ordine hanno semplicemente abusato del loro potere poiché non
esisteva nessuna fragranza di reato, ma dopo poche ore dal loro intervento mi ritrovavo in galera con
tre extracomunitari che per altro mi hanno accolto anche bene … finché non hanno scoperto che russavo!
Ero in costume ed infradito poiché il mio lavoro e la stagione prevedevano così … e così son rimasto per
quattro deliranti giorni in carcere finché il G.I.P. (Giudice delle Indagini Preliminari) dopo un breve colloquio finalmente mi ha scarcerato non convalidando l’arresto smentendo quindi quell’azione poco ortodossa dei carabinieri.

Durante quella breve permanenza ho forzatamente cambiato visione e prospettiva di vita avendo capito
che quello era per forza un punto di non ritorno dal quale difficilmente mi sarei ripreso.
Ho più volte richiesto di poter effettuare la telefonata di primo ingresso per avvisare al lavoro la mia assenza, ma tra l’indifferenza generale nessuno mi ascoltò. Non sapevo bene a chi rivolgermi e cosa chiedere per esser aiutato poiché non avevo nulla, quindi confuso, incredulo e spaesato cercavo di realizzare il tutto … e quando lo facevo, magari di notte tra buio e silenzio, fisicamente mi bolliva il sangue dalla rabbia, sembrava quasi mi venisse la febbre a quaranta dal nervoso.
Quel carcere per me era solo un tumulto di grida e confusione che non riuscivo a gestire, vedevo sbarre dappertutto quando invece prima ero abituato a guardare nuvole e colline … situazione alienante … io parlavo a malavoglia nonostante molti si erano interessati al mio caso, ma ero poco concentrato nel descrivere la paradossale situazione in cui mi trovavo ed ero in conflitto con me stesso per non aver capito come poter evitare o sfuggire a quell’episodio che mi ha violentato l’anima.
Mangiavo poco, dormivo meno, mi son lavato sì e no una volta sola facendomi prestare il necessario. Mi sentivo avvilito ed impotente poiché mi ero reso conto che al mio mondo stavano crollando le basi e difficilmente mi sarei ripreso da questo shock che ha di fatto distrutto irrimediabilmente ciò che avevo costruito.
Essendo un’insegnante non avrei più potuto lavorare coi bambini né d’estate al centro estivo, né durante l’anno a scuola perché c’è una legge che vieta questa attività se hai pendenze penali o carichi giudiziari ed è questa la cosa che mi ha fatto più male e che rimpiango di più.
Quel giorno è cambiata radicalmente la mia vita creando, mio malgrado, un percorso parallelo che prevedeva poi un reato, dei processi ed una permanenza in una casa di reclusione e quindi prospettive diverse e nuovi obbiettivi, con altri traguardi da raggiungere per una via traversa.
Nonostante sia sempre stata una persona paziente ed accondiscendente e mai rancorosa, dopo quanto successo non sapevo se alla fine sarei riuscito a perdonare la mano frettolosa che ha agito nei miei confronti, né la mente deviata che l’ha mossa ed infatti ancora oggi … NON HO PERDONATO!

Vespino

Autore dell'articolo: feniceadmin