La prospettiva di un inferno

Ore in questura … lo sgomento, poi il carcere verso un universo sconosciuto.
Ci avevo creduto fino in fondo, avevo rispettato le regole ed ero diventato un’altra persona.
Credevo fosse questo che volesse la società, retta da uno Stato con una democrazia solida, capace di
comprendere e perdonare. Invece la macchina giudiziaria non dimentica, colpisce e macina, rigettando qualunque persona nel passato, in una realtà che non gli appartiene più.
Ricordo lei ..”resisti ce la faremo, ti aspetterò, l’amore a volte è anche attesa .” Una lotta impari, diventi una spugna che assorbe conoscenza, mentre la macchina macina.
Anche gli angeli vanno all’inferno, anche l’oro affonda nel fango, pretendo di parlare con un mondo
ignaro, a chi è già pieno dei suoi problemi in modo che possa capire che le pene tardive sembrano fatte
apposta per rigenerare gli ingranaggi criminali: imprigioniamo un incauto per un po’ di anni disperdendo il suo tempo in questa vita e ne nasce spesso un più abile delinquente.

A me ci sono voluti un po’ di mesi per metabolizzare che non c’era altro da fare che scontare la pena di 4 anni e 6 mesi prendendo coscienza che nulla sarebbe più stato come prima…
Con il tempo si diradano i colloqui, si affievolisce la speranza. E’ così che comincia la discesa all’inferno, dove essere un pompiere non serve a nulla.
Bisognerebbe riuscire a prendere le distanze dalla pena, come dire, una mente libera in un corpo prigioniero, così da riuscire a dare un senso a tutto questo, nonché ai molteplici sentimenti contrastanti che mi pervadono soprattutto la notte come se fossero incubi senza sonno, a dare senso alle irragionevoli questioni che scandiscono il tempo in prigione.
Se io dicessi che la giornata da prigioniero è molto simile a quella che si vive fuori, rischierei di sdrammatizzare la sofferenza di coloro che in una cella ci marciscono, però il detenuto in fondo sa che anche fuori la vita non è facile come si vorrebbe credere quando si sta in prigionia.
Il carcere è una cellula dove si riproduce la complessità cosmica. Qui è tutto concentrato e gli effetti
di ogni azione sono moltiplicati, anche qui come fuori esiste l’illusione della libera scelta, una illusione tanto costante da rendere impercettibile la stessa illusione.
Possiamo, per cosi dire, decidere fra ipotetiche possibilità di reinserimento e le università del
delinquere.
Va da sé che la seconda opzione è quella che spesso si concretizza, non mancano i docenti e il terreno fertile, mentre per chi cerca un’alternativa per una via d’uscita, l’istituto, anche per carenza di fondi e di personale, ha troppo spesso ben poco da offrire. I progetti di reale inserimento sono in genere scarsi, inefficaci, così da far sembrare il sistema carcerario tutto teso a far funzionare a pieno ritmo la macchina che produce delinquenza. E il carburante di questa macchina sono i detenuti stessi, soprattutto i più deboli.
Con il suo ozio forzato e camuffato in attività inconsistenti, il carcere dà tutto il tempo di scoprirsi fino in fondo, soffia sugli aspetti negativi di sé, fa diventare egoisti, apatici. Fa pensare al passato … sarebbe nostalgico pensare al presente, oltre a deprimere il carcere detta comunque le sue regole infondendo un ottimismo malsano e un’energia fatta di cinismo e disperazione.
Con la tensione sempre al massimo il carcere insegna a non dare nulla per scontato ed essere pronti a tutto facendoci parte di una macchina che si autoalimenta.

V.

Autore dell'articolo: feniceadmin