Il valore delle cose piccole

(il bambino che eri è contento dell’uomo che sei?)

Entrai in carcere un mese fa, per mia fortuna dopo 10 giorni di psichiatria perché forte era il bisogno di equilibrio dopo un periodo dove senza ragione, mentre tutto andava bene mi disfai con i soliti schemi distorti legati alle sostanze che primeggiavano su di me senza che io potessi avere alcun controllo.
Dopo qualche giorno di terapia sentii finalmente il bisogno di togliere farmaci, di tenermi pulito, di curarmi la barba e di muovermi un po’ perché sapevo che questa era la medicina più adatta a me e l’unica che non mi avrebbe tolto il mio contatto con l’anima che spesso perdevo a causa di un mostro più forte di me e che ormai ero cosciente avesse vinto tutto e tutto mi avesse tolto, un buon lavoro, gli affetti ma soprattutto me stesso.
Una mattina durante il ricovero mi decisi ad andare in una comunità, ad allontanarmi un anno o due dalla mia amata figlia Lara perché sapevo che quella sensazione di vitalità non sarebbe durata molto e che uno o due mesi dopo la mia ombra si sarebbe ripresentata facendomi continuare ad essere il papà fantastico affettivamente ma discontinuo ed a fasi egoista, poco generoso, autodistruttivo. Pensai che la mia piccola avesse bisogno di una figura saggia equilibrata e costantemente presente. A 5 anni una bambina, anche se molto sveglia e bisognosa può fare a meno di me, pensai! Questa scelta mi faceva male ma riconoscevo che anche se mi sarei perso tutta la bellezza della sua innocenza tra una decina di anni, durante l’adolescenza sì che avrà bisogno di me, quando ormoni e le emozioni legate a questi si sarebbero fatte vive. Solo la mia storia personale e la mia intelligenza in quella famiglia avrebbero potuto poi sostenerla e non farla cadere. A patto che prima metta a nudo i miei demoni.
Un pomeriggio verso le 15, mentre io continuavo a scegliere le cose finalmente a favore mio e delle due donne più importanti che ho, suonarono il campanello del reparto ed un OSS mi venne a chiamare. Avevo visite!
Quattro carabinieri armati di notifiche mi dissero che la pena di due anni ed otto mesi era diventata esecutiva, con una calma e lucida presenza non feci una piega, mi feci mettere le manette. Questa calma era la figlia della mia preparazione a quell’evento ed alla mia tendenza per una volta efficace di non ascoltare gli altri che mi dicevano che avrei avuto sicuramente una soluzione alternativa.
Dopo avermi fatto foto e preso le impronte, cosa che vedevo solo nei film, mi portarono nel Carcere di Cuneo dove, dopo avermi messo completamente nudo e perquisito fui accompagnato nella sezione accoglienza. Con i brividi ricordo le grida distorte che sentivo avvicinandomi alla sezione. La cella era senza vetri alle finestre, piena di rifiuti, di urina e chissà cosa altro. Il mio concellino si chiamava Wail, era completamente fatto di caffè e psicofarmaci, incoerente nei dialoghi e pieno di rabbia come tutti gli altri. Lasciai i miei abiti nel sacco nero in plastica che aveva sostituito il mio borsone, era tutto troppo sporco per toglierli da lì dentro. Preparai il letto, Wail mi fece vedere come si faceva il letto in carcere ovvero legando le lenzuola con un nodo sotto il materasso, imbarcandolo ma facendo in modo non si disfacesse per due settimane.
La mia coscienza o chi per essa iniziò subito a fare affiorare ricordi dimenticati. Wail scaldava una pagnotta umida sul fuoco del fornello per farsi un panino con una fetta di formaggio avanzato da, guardandolo, almeno qualche giorno. A vedere quella scena immediatamente vidi un’immagine, una scena del bambino che ero stato mentre guardavo mio nonno in tavernetta tagliare con una di quelle affettatrici vintage costosissime un san Daniele intero scambiato per qualche cassetta della verdura che vendeva come grossista.
Mio Dio dove sono finito? Ok, ora mi toccava scegliere se rendere il carcere l’ennesima croce da portare sulle spalle dandomi del fallito o trasformarla in un’esperienza. Nella lucidità scelsi la seconda e così ormai trasferito in un altro carcere sto continuando con questa forma mentis.
Sono certo che definire qualcosa equivalga a confinarlo senza dare spazio a qualcosa di meglio, allora sarebbe la resa. Una volta trasferito qui ad Ivrea mi misi in moto, con pochi abiti perché l’estate sta finendo, pochi soldi perché pochi sono a disposizione e l’assenza di affetti mi sono messo in moto a far di tutto per vedere e sentire la principessa che so, ha bisogno di vedermi perché un uomo gli ricordi quanto è bella forte e coraggiosa ma anche un po’ egoista e nutrirmi un po’ dell’amore e della totale fiducia di cui sono zuppi i suoi occhi.
Con ciò che ho per vivere oltre il carrello del vitto ho anche iniziato a dare valore alle cose piccole. Mentre fuori inseguivo la mia ombra sempre alla ricerca dell’esagerazione, qui se all’inizio compravo un po’ di carne e tabacco in più nutrendo dipendenza e l’immagine di me che vedevo nello specchio, oggi immenso valore assume il silenzio interiore, la musica che non ascolta nessuno che sempre ho amato e la possibilità di potermi esprimere attraverso questo PC anni 90’.

“Poiché sono davanti agli occhi del Signore le vie dell’uomo
Egli bada ai suoi sentieri.
L’empio è preda delle sue iniquità, è tenuto stretto alle funi del suo peccato.
Egli morirà per mancanza di istruzione, si perderà nella sua grande stoltezza”

Proverbi (5, 15).

E.B.

Autore dell'articolo: feniceadmin