Eri detenuto? Non c’è posto

Un detenuto, dai giorno In cui viene arrestato ed accompagnato in una delle patrie galere di questo “bellissimo paese” chiamato Italia, deve passare attraverso delle trafile routinarie che si usano come prassi presso gli istituti penitenziari.
Matricola: compilazione della scheda personale, foto segnaletiche, impronte digitali, segni particolari (tatuaggi, cicatrici, voglie etc.).
Dopo l’obbligatorio passaggio in matricola ci si occupa delle sue problematiche di salute, tramite medici, infermieri, assistenti sociali, psichiatri, psicologi… Una volta fatto ciò viene assegnato ad una sezione, ad una cella e ad una branda; gli vengono fornite lenzuola e suppellettili.
Successivamente, con il passare del tempo, ci si preoccupa di inserirlo in qualche contesto scolastico e\o lavorativo.
Quindi immaginate voi quante risorse umane e materiali vengono investite per la buona riuscita di tutto ciò.
Specialisti, professionisti, agenti di POLIZIA PENITENZIARIA e chi più ne ha più ne metta, vengono messi in campo.
Troviamo i volontari della Caritas che, in collaborazione con la chiesa interna all’istituto, si occupano del vestiario (usato) per i più bisognosi; come gli extracomunitari, o chi fuori dalle mura del carcere non ha più nessuno, o anche chi, per la gravità del reato, è stato abbandonato dai propri cari.
Troviamo anche cooperative, grazie ai tanti bravi professionisti che ogni giorno accedono agli istituti penitenziari per insegnare un mestiere agli ultimi, la dignità a chi la dignità l’aveva perduta assieme all’autostima, cercando di fortificare l’anima, la mente ed il corpo di ogni singolo lavoratore detenuto. Ciò li fa sentire orgogliosi di riuscire a far fronte alle spese processuali, al mantenimento di 112 euro al mese che il ministero si prende in automatico da ogni busta paga di ogni detenuto lavorante, di riuscire a pagare una somma di denaro come risarcimento danni dovuto alle vittime.
Adesso, amici ed amiche lettori, vi chiedo più attenzione nel proseguo della lettura.
Amici e amiche lettori, insisto chiedendovi sempre più attenzione nel continuo della lettura.
Quando arriva a fine pena, o gli viene concessa la libertà tramite misura alternativa alla carcerazione, il detenuto, per la gioia dovuta alla notizia, inizia ad urlare: “Sono libero! sono libero! sono libero!”.
Saluta gli amici con cui per anni ha condiviso gioie e dolori, e si appresta a varcare i pesanti cancelli di ferro, destinazione Libertà.
Così, tutto d’un tratto, nel giro di qualche ora, si ritrova sputato dallo Stato nel mondo della società civile. La prima cosa che fa è alzare gli occhi al cielo e sussurrare la frase: “Grazie, Dio”.
Si affretta ad un bar per riprovare la piccola gioia di prendere un caffè in una tazza di porcellana, mescolando lo zucchero usando un cucchiaino di metallo, piccole cose assolutamente negate, nelle carceri.
Quelli che hanno ancora i propri cari corrono verso casa, affacciandosi dal finestrino del loro mezzo per sentire il vento carezzargli il volto ed osservare il paesaggio, una vista per così tanto tempo negata.
Quelli che non hanno più nessuno ad aspettarli, e nemmeno una casa, si recano in una pensioncina per affittare una camera a poco prezzo con i soldi messi da parte in tutti gli anni di lavoro svolti nel carcere.
Nei giorni successivi l’ormai ex detenuto si reca negli uffici esterni della cooperativa per cui lavorava all’interno del carcere chiedendo di essere assunto anche all’esterno del penitenziario, ma gli viene detto che non è possibile assumerlo.
Allora lui non si scoraggia e si reca dai volontari della Chiesa chiedendo se lo potevano aiutare per un inserimento lavorativo; gli viene detto: “Se sappiamo qualcosa al riguardo ti facciamo sapere”. Si reca successivamente dal pastore evangelista che aveva conosciuto in carcere, chiedendogli aiuto, sempre per un inserimento socio-lavorativo.
Ma anche dal pastore gli viene detto: “ti faremo sapere”.
A quel punto si reca presso le agenzie interinali, chiedendo di essere inserito nella lista di attesa per un’occupazione lavorativa.
In tutto ciò passano circa due mesi, durante i quali soldi iniziano a scarseggiare; tutte le porte a cui bussava, e che lui sperava fossero aperte, gli vengono sbattute in faccia.
Si rende conto della realtà, che si trova ancora una volta da solo in mezzo alla società per bene. Tutte le speranze, tutti i progetti e tutti i sogni svaniscono tutto in un istante.
Così, l’ex detenuto, restando senza più denaro in tasca, si reca in un minimarket e con coltello alla mano lo rapina.
La sua breve fuga dura un’ora; viene arrestato e condotto nel carcere che lui aveva lasciato soli 3 mesi prima.
Dopo la solita prassi di routine, gli agenti di custodia lo accompagnano in cella.
Ormai il detenuto è consapevole che per la sua recidiva la libertà era nuovamente finita e i giudici non gli avrebbero dato un’altra opportunità.
Così, aspettando la sera, dopo aver dopo l’ultima preghiera, con la cintura dell’accappatoio legata alla finestra del bagno, si lascia andare e, finalmente, almeno la sua anima ritrova la libertà.
Amici ed amiche lettori, dopo aver conosciuto questa storia attraverso questo articolo, io propongo allo Stato di questo paese una soluzione per il sovraffollamento delle carceri, per la recidiva e per la sicurezza stessa della società: propongo una sorta di sostegno di minimo 6 mesi al detenuto dal momento della sua scarcerazione, con inserimento socio-lavorativo e monitoraggio delle sue condizioni sociali ed economiche, attraverso gli uffici dell’assistenza sociale e gli organi competenti. Così facendo potremmo forse un giorno paragonarci ai paesi più sicuri e civili d’Europa. Purtroppo il carcere non aiuta al detenuto a reinserirsi in una società civile, basata sul lavoro e sul rispetto delle regole .
Questo è per far capire ciò che capita nella realtà di alcuni detenuti meno fortunati quando escono dal carcere.
Posso dire che il carcere non è riabilitativo come viene sostenuto, anzi fa diventare i detenuti ancora più diffidenti, più nervosi.
Una volta fuori di qui nell’85% dei casi sei scartato dalla società pulita; sapendo che sei stato in carcere tutto è più difficile sotto ogni punto di vista.
A un detenuto che viene scarcerato per fine pena o per benefici concessi, gli enti competenti dovrebbero garantire un aiuto fino a quando non trova la propria indipendenza, ma in Italia è rarissimo che ciò accada.
E in molti casi, per la gente che non ha mai avuto problemi con la legge, siamo solo persone marchiate con un bollino rosso in fronte, PERSONE NON AFFIDABILI.
Tutto ciò è veramente ASSURDO e INGIUSTO!!

CARLO O.

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Autore dell'articolo: feniceadmin