Sono la mamma di uno di voi

È vero che in carcere non ci sono io ma mio figlio, ma questa dolorosa esperienza è annientante anche per chi ama da fuori le sbarre.
Annientare: è la prima cosa che ho fatto con me stessa.
Mi sono schiacciata dai sensi di colpa per tutto ciò che come mamma potessi aver sbagliato, per tutto ciò che non sono stata capace di trasmettere, per tutto ciò in cui ho omesso un’azione.
È stato l’anno e  mezzo più difficile della mia vita, ma anche il più ricco anche se difficile da credere.
Ho, e continuo, trasformato in me il senso di colpa, che è appunto come detto annientante, in senso di Responsabilità che anche se doloroso, perché più profondo, lascia aperta la porta delle possibilità.
Il senso di colpa è scontare una pena.
Un espiare. Punto.
Niente chances. 
Ciò che è quindi un carcere, ciò che è la galera.

La responsabilità verso il passato è far proprie le azioni compiute o non compiute con le motivazioni che ci hanno mosso, senza valenza di giudizio, ma riconoscendo le distorsioni personali, e in seguito rispondere adeguatamente alla propria vita con apertura. 
Essere abili a rispondere alla Vita, là dove abbiamo mancato a noi stessi e conseguentemente agli altri non abbiamo risposto adeguatamente a ciò che erano le domande a noi riservate.
Cosa ci stava chiedendo la Vita?
Sempre la Vita ci pone domande, è una scelta continua.
Scegliere d’essere vittime della vita, della condizione sociale, dei genitori è al pari di divenire carnefici (nella realtà lo si diviene di noi) ma sono solo ruoli, maschere di dolore per non avanzare fieri di chi siamo. 
È più faticoso divenire espressione della propria unicità rispetto al conformarsi per essere accettati, per essere visti, per sentirsi importanti anche nelle peggiori situazioni.
Ecco, dovremmo smetterla, anche voi di volervi sentire importanti, basterebbe ascoltare la vostra rabbia che vi chiede  d’essere Unici nella luce, che c’è stato certamente il momento in cui avete scelto una cosa piuttosto che un altra.
Ho avuto paura della vita e per fronteggiarla ho vestito abiti di controllo, di dipendenza perché credevo di non farcela per ciò che ero.
Le sento ancora le ferite che pulsano, ma poi tocca scegliere se cercare d’essere felici o continuare a perpetuare dolore, rancore, rimorsi e frustrazione.
Assumerci la responsabilità di noi!
Nessuna famiglia, nessun gruppo, nessun partner, nessuno stato potrà aiutarci a farlo.
È un cammino in solitudine, e rimanere soli ci fa paura.
Ma io come voi, se osservo bene, anche se fa male, ho creato le condizioni per esserlo.
Per prendere coscienza che Siamo Capaci.
 Il nostro libero arbitrio è ciò che ci spaventa di più perché spetta solo a noi fare le scelte felici per il nostro proseguire.
Userò bene questo tempo, come m’auguro voglia fare mio figlio, e lo auguro a tutti voi, perché il nostro tempo non ce lo restituisce nessuno ed è prezioso, è il ticchettio della nostra vita.
Nel vostro tempo apparentemente fermo, create per voi, senza sempre aspettare che siano gli altri ad offrirvelo , imparate a dare risposte più felici alla Vita.

Una madre

Autore dell'articolo: feniceadmin