Non mi riconosco più in quell’etichetta appiccicatami addosso
Nonostante sento di essere diventato una persona “responsabile”, dopo oltre otto lustri carcere, che equivalgono ad oltre quarant’anni trascorsi nelle patrie galere per pagare il mio debito con la giustizia, non riesco ancora oggi a liberarmi dell’etichetta di cattivo per sempre. …
Ho conosciuto il valore della parola “responsabilità” all’interno del carcere solo quando mi è stato permesso di partecipare ad una detenzione attiva e non passiva, come invece avviene restando parcheggiati sulla branda per ventiquattro ore al giorno a guardare il soffitto.
Nel mio caso, essendo una persona molto legata alla fede, ho iniziato, grazie alle attività legate a quest’ultima, a conoscere il valore della parola responsabilità, che nel tempo si è rafforzata con la possibilità di accedere ad attività lavorative e culturali che mi sono state offerte durante la detenzione.
Infatti anche qui ad Ivrea ho intrapreso un percorso di catechesi, che mi permette di mettermi in discussione senza reticenze e quindi con grande senso di responsabilità.
Sì perché non è semplice rispondere e riflettere sul proprio passato partendo dalla Bibbia, e dalle domande della mia catechesi, come non è facile confrontarsi con il resto dei ragazzi del gruppo attorno al tavolo a cui ci riuniamo per svolgere tale attività.
Infatti molto spesso la domanda più frequente che mi fanno i miei compagni di gruppo è perché ho intrapreso questo percorso di cambiamento, visto che sono condannato all’ergastolo e quindi ad non uscire mai più dal carcere.
Io penso che l’abbia intrapreso perché percorrendo questa nuova strada negli anni sono riuscito ad uscire da quella logica sub-culturale in cui sono cresciuto, ma soprattutto dalla rabbia e dall’odio che negli anni di carcere passivi accumulavo nei confronti di tutti e tutto.
Sì perché se faccio un’introspettiva autoanalisi sui miei oltre 40 anni di carcere e sul mio passato, mi accorgo che per la maggior parte del tempo mi sono nutrito di rabbia e odio, generati anche da una pena come quella dell’ergastolo che sembra essere più una vendetta che un senso di giustizia sociale.
Non è facile riuscire a trovare gli strumenti che ti permettano di tenerti impegnato la mente o attività che ti permettano di dimenticare tutte quelle vicende negative che ti hanno segnato la vita, e che ti portino a riflettere sulle tue responsabilità verso la società.
Io oggi ho iniziato ad riusare questo termine “responsabilità” affiancandolo e associandolo alla parola “coraggio”, perché ci vuole moltissimo coraggio a partecipare e mettere in discussione il proprio passato con una parte di società che entra in carcere attraverso le attività, come ci vuole coraggio nel farlo con le istituzioni, accettando che la mia vita continui ad essere gestita e guidata da altri anche nelle scelte più banali.
Sicuramente questo percorso che ho intrapreso mi ha migliorato molto, e mi ha permesso di vivere un rapporto migliore anche con la mia famiglia perché quando mi rapporto con loro in me non sentono più quel sentimento di rabbia ed odio che invece percepivano in passato.
Nonostante oggi mi senta un uomo diverso dai miei errori, e sia riuscito a liberarmi da quella sub-cultura, rabbia, odio, che ha caratterizzato quasi tutta la mia vita, paradossalmente non sono ancora riuscito a liberami da quella etichetta di “cattivo per sempre” che invece mi hanno appiccicato addosso all’epoca dei miei reati.
Oggi spero tanto di trovare qualcuno che possa ancora credere nel cambiamento e nel valore dell’essere umano, e che mi aiuti a liberarmi da questa maledetta etichetta che mi porto appiccicata sulla pelle, anche perché sono consapevole che con la mia condanna dovrò morire in carcere, ma almeno la morte mi farà meno paura sapendo di non essere più considerato “cattivo per sempre”.
Michelangelo D.