Affettività e Carcere: un binomio (im)possibile?

Coniugare carcere e affettività non è impossibile, in molti istituti, in Italia e all’estero, è già realtà

Bella domanda. Posso iniziare il mio articolo parlando di una “Mia Ferita”, sempre aperta e sanguinante…l’Affettività.
Ah, dimenticavo la mia presentazione; il mio nome è Luca, ho 41 anni e mi trovo recluso da quasi 11 anni e mezzo. In tutto ho “visitato” diversi istituti penitenziari, ho fatto un sacco di cose, ho pensato ai miei sbagli passati, ho riflettuto sul presente e sul futuro ed ho sempre pregato e prego tuttora. Ma c’è una cosa che non ho Mai smesso di fare, coltivare l’Affettività della Mia Amata Famiglia, dei Miei Cari Genitori, Papà e Mamma, che mi aspettano fuori, e che io, ogni volta, aspetto che vengano qui dentro da me, per i colloqui.
E’ un’attesa costante e dolorosa che si protrae da anni, da una regione all’altra, e da carcere a carcere.
Loro sono anziani ed hanno i loro problemi di salute uniti alle difficoltà economiche; il tutto accompagnato dall’incombenza per dover raggiungere le varie strutture penitenziarie ove sono stato, indurita dal dolore e dalla sofferenza per tale situazione. Sono le uniche Due persone che non mi hanno Mai abbandonato, sostenendomi sempre in tutti i modi e dandomi la Forza ed il Coraggio per andare avanti, alla ricerca di una Vita Nuova e di un Futuro Migliore; gli voglio un mare di bene e darei la Vita per loro.
I colloqui visivi, per me, sono giorni “Benedetti da Dio”, e sono “a sorpresa”, poiché non so mai quando vengono, anche se li aspetto sempre con tanta gioia; per fare un esempio che renda bene l’idea, un po’ come un bimbo che, dopo aver scritto la sua letterina, aspetta l’arrivo di Babbo Natale.
In questi ambienti l’Affettività è un bene prezioso per noi detenuti, da conservare e preservare, ma, nel contempo, è rara, è come l’acqua nel deserto, può salvare la Vita.
Uscendo da un discorso soggettivo e volendo ampliarlo al “Pianeta Carcere” , si evince che, un’interessante iniziativa, in collaborazione con Antigone (Associazione per i diritti e le garanzie del sistema penale) e con l’avallo dell’On. Rita Bernardini, dalla Presidenza del Partito Radicale, ha posto in essere l’attenzione sul tema interdisciplinare dell’Affettività in carcere. All’esame da parte delle Commissioni Speciali del Parlamento dello schema di decreto sulla riforma dell’Ordinamento Penitenziario, s’impone, infatti, una riflessione sul binomio “libertà-dignità” anche (e soprattutto) all’interno della realtà carceraria, ove il rispetto del detenuto e, in particolare, la tutela della sua sfera affettiva, sono destinati ad assumere una grande rilevanza.
Le restrizioni dovute all’ingresso in carcere del detenuto non si arrestano alla primaria privazione della libertà, ma vanno oltre, comportando la sospensione dei rapporti umani e delle relazioni personali, familiari ed intimo-affettive. All’interno del carcere, salvo rare eccezioni e qualche “bacio rubato” durante i colloqui, la sfera affettiva e sessuale del detenuto è del tutto negata. Interrompere il flusso dei rapporti umani ad un singolo individuo significa “amputarlo” di quelle dimensioni sociali che lo hanno generato, nutrito e sostenuto. Il carcere demolisce, anno dopo anno, quella che si potrebbe definire “l’identità sociale del detenuto”.
Il Consiglio dei Ministri Europeo ha raccomandato agli Stati membri di permettere ai detenuti di incontrare il/la proprio/a partner senza sorveglianza visiva durante la visita (Raccomandazione R (98)7, regola n. 68). Parimenti, anche l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha raccomandato di mettere a disposizione dei detenuti dei luoghi per coltivare i propri affetti (Raccomandazione 1340 (1997) relativa agli effetti della detenzione sui piani familiari e sociali).
Ben 31 Stati su 47 componenti del Consiglio d’Europa prevedono nel proprio ordinamento interno, attraverso svariate procedure, la possibilità per il detenuto di accedere a visite affettive con il proprio partner. Ricordiamo, tra gli altri, Russia, Francia, Olanda, Svizzera, Finlandia, Norvegia, ed Austria. In Germania e Svezia, addirittura, negli istituti penitenziari sono stati edificati dei miniappartamenti dove il detenuto è autorizzato a vivere per alcuni giorni con la famiglia.
Anche fuori dall’Europa accade similmente. In Canada le visite coniugali avvengono, dal 1980, in apposite roulotte esterne al carcere. In America, fin dagli anni ’90, in un campo di lavoro nel Mississipi, ogni domenica i prigionieri hanno la possibilità di ricevere in visita una “professionista del sesso”. Le visite intime sono ammesse anche in India, Israele e Messico; e l’elenco potrebbe continuare.
In Italia, c’è stata la proposta di legge 653/86 (poi abrogata), che ha considerato l’idea di introdurre delle apposite “celle per l’amore”, in modo che il detenuto potesse mantenere un legame di coppia preesistente. Inutile dire come l’argomento abbia suscitato così tante perplessità da essere presto stato messo da parte.
Il controllo visivo violerebbe, in buona sostanza, la dignità umana del detenuto, non permetterebbe il pieno sviluppo della sua personalità, andando ad incidere negativamente sulla rieducazione e sulla salute, soprattutto poiché, di fatto, impedirebbe i rapporti affettivi, così raffigurandosi alla pari di un trattamento contrario al senso di umanità.
La proposta di introdurre delle “stanze dell’affettività” o “love rooms” è tornata di recente all’attenzione, soprattutto grazie agli Stati Generali sull’Esecuzione Penale, una commissione di esperti nel mondo del carcere voluta dal Ministro Orlando, che ha terminato i lavori nel 2016. Per l’Affettività in carcere, la commissione ha proposto l’istituto della “visita”, diversa dal “colloquio”, da svolgersi senza il controllo visivo e/o auditivo del personale di sorveglianza in “unità abitative” collocate all’interno dell’istituto, separate dalla zona detentiva con pulizia affidata ai detenuti, e da svolgersi in un “opportuno lasso temporale”.
In via sperimentale, nel carcere di Milano Opera, sono state recentemente edificate le “stanze dell’Affettività”, formate da una cucina, un frigorifero, un tavolo con le sedie e da un divano con un televisore. Per un giorno intero i detenuti ammessi potranno parlare, prendere un caffè, giocare, abbracciarsi e baciarsi come una famiglia normale dimenticando di essere dentro un carcere. Al beneficio sarebbero ammesse 16 famiglie, selezionate appositamente dagli educatori, ogni anno, perché considerati i nuclei familiari più sofferenti.
Augurandomi che vengano attuate delle migliorie nel “Nostro Mondo”, e sperando di essere stato chiaro ed esauriente, concludo il mio scritto su un tema che, per sua natura, appare particolarmente complesso e delicato. A voi lettori auspico una partecipazione ampia e costruttiva, onde garantire una sinergia di vedute e vostri commenti. Grazie.

Luca D.

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Autore dell'articolo: feniceadmin