La legge è uguale per tutti è una bella frase che rincuora il povero, quando la vede scritta sopra le teste dei giudici, sulla parete di fondo delle aule giudiziarie; ma quando si accorge che, per invocar l’uguaglianza della legge a sua difesa, è indispensabile l’aiuto di quella ricchezza che egli non ha, allora quella frase gli sembra una beffa alla sua miseria. (Piero Calamandrei)
A tutt’oggi si parla con toni sempre più accesi della libertà negata e dei diritti violati in relazione alle restrizioni imposte per contrastare il ritorno di una quarta ondata della pandemia, che purtroppo sta già dilagando in molte regioni e stati.
E qui mi vorrei soffermare per una riflessione; per cercare di trasmettere cosa prova, cosa sente chi è “ristretto” al di là di un muro, cosa è veramente e cosa significa la privazione totale della libertà con la conseguente perdita di tanti diritti che ci spetterebbero.
Veniamo privati della libertà quando infrangiamo la legge, commettiamo reati, ma molto, troppo spesso il giudizio, la “sentenza” varia a seconda dell’autore del crimine.
Molto spesso giudici, pubblici ministeri, magistrati sbagliano … per incompetenza … per menefreghismo.
Sono purtroppo numerosi i casi di “errori giudiziari” che hanno condannato persone innocenti.
Secondo l’articolo 27 comma 2 della Costituzione, l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva, e qui parliamo di “principio di presunzione di non colpevolezza”..
Ciò nonostante i giudici possono disporre delle “misure cautelari” nei confronti dell’imputato per gravi indizi di colpevolezza o pericolo di fuga e reiterazione del reato … basta questo verdetto per far sì che il malcapitato dovrà attendere la “sentenza” , il giudizio in galera.
E se l’imputato non ha commesso il reato?
Sembra siano oltre mille le persone vittime di “ingiusta detenzione”.
Ci sono poi quelle che sono state condannate con sentenza definitiva per poi essere scagionate dopo venti o trent’anni.
Che dire poi di chi per fame, per necessità commette un reato, ruba del cibo in un supermercato. Penso ad una donna senza fissa dimora che nel 2014, così riportava la cronaca, era stata condannata dalla Corte d’Appello a due mesi di carcere e 400 euro di multa per aver portato via senza pagarli sei pezzi di parmigiano da un supermercato di Torino.
Altri invece, seppur compiono un reato più grave, e come sappiamo la cronaca può testimoniare, quante persone benestanti, politici, hanno commesso reati ben oltre il furto di sei pezzi di parmigiano e possono continuare a gustarsi sempre impuniti la loro vita in totale libertà.
A noi, qui dentro, resta la libertà interiore che non è sempre facile mantenere … non tutti riescono … per questo dobbiamo combattere ogni giorno, e credere che qualcosa potrà cambiare.
A presto, un saluto a tutta la redazione e ai lettori.
Con affetto
M.O.Carlo
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