Persone detenute affette da disturbi mentali. All’interno di questo specifico ed allarmate problema è individuata l’origine delle principali cause di suicidio, atti di autolesionismo e problemi che condizionano negativamente la vivibilità e convivenza forzata all’interno dei penitenziari italiani.
La natura del carcere, della stessa “pena”, è quella di produrre sofferenza alle persone: rispondendo al male con un altro male, seppur ritenuto “legale”. Questo si pone in antitesi con la necessità di curare e gestire adeguatamente persone affette da malattie mentali, dal momento che la stessa prigionizzazione è il primo ostacolo da superare per rieducare, curare e restituire le persone al consesso sociale migliorate. La reclusione, al tempo stesso, è causa di numerose malattie psichiche e disturbi vari: depressione, spersonalizzazione, destrutturazione del sé, sindrome di Stoccolma, psicosi, solo per citarne alcune senza escluderne altre. Si è certi,quindi, che il carcere non rappresenta una medicina indispensabile per la società, per il semplice fatto che non restituisce persone cambiate, curate, ma, nella maggior parte dei casi, peggiorate.
Sicché, sarebbe importante analizzare approfonditamente il problema, superando quelle barriere mentali che per troppo tempo hanno distorto la portata della situazione, facendo credere che la segregazione e l’afflizione di sofferenza fosse l’unica risposta adeguata e possibile per curare i mali della nostra società. Le malattie mentali, all’interno degli istituti penitenziari, rappresentano una realtà complicata, colma di punti oscuri e contraddizioni, ed è giunto il momento, come è successo con la Legge Basaglia, di valutare la possibilità di adottare nuovi modi d’intervento, non alternativi alla pena ma alternativi allo stesso Sistema Penale, che manifesta costantemente la sua inadeguatezza. E questo non sta a significare che si voglia giustificare o pensare di lasciare in circolazione, senza garanzie per la sicurezza dei cittadini, chi ha commesso reati. Piuttosto si crede che attraverso la cura del malato si possano ottenere risultati che alla fine rappresenterebbero, in senso lato, un beneficio per tutta la collettività su cui, peraltro, ricadono gli oneri per mantenere in piedi questo sistema.
Curare e punire nello stesso tempo è pressoché impossibile. Questo aspetto non può far altro che portare a credere che il Sistema Penale attuale non sia in grado di dare risposte significative alle vere esigenze e problematiche che insorgono nella nostra società. Oltretutto, il dialogo tra la dottrina giuridica e quella psichiatrica è estremamente riduttivo e subalterno, lasciando al libero convincimento molti aspetti che al contrario andrebbero approfonditi. Questo contribuisce a mantenere aperte numerose lacune legislative. Si continua ad operare attraverso un codice penale vecchio di settant’anni, risalente al periodo fascista, dove, attraverso un’attenta analisi, si comprende che lo Stato di Diritto è impoverito dalla Ragion di Stato e da una arcaica mentalità che non si addice ai tempi moderni: basti pensare che fino al 1967 era previsto che la donna adultera finisse in carcere, mentre il marito no. Inoltre, consultando le numerose sentenze emesse dalla Corte di Cassazione negli ultimi decenni, ci si accorge che in casi analoghi, che riguardano procedimenti che trattano di persone affette da malattie o disturbi psichici, si dice tutto e il contrario di tutto, tant’è che le varie sentenze si distinguono tra favorevoli e contrarie, con riferimento ad una medesima e determinata norma. Un sistema, quindi, che contraddice se stesso in continuazione. Perché? Gran bella domanda!
Sandro Franciosi
Scheda di approfondimento
LA FOLLIA E’ UNA CONDIZIONE UMANA
Franco Basaglia affermava: “la follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione.
Il problema è che la società per dirsi civile dovrebbe accettare sia la follia che la ragione”. Questo concetto dovrebbe
indurci alla conclusione che anche il bene e il male, come la follia, fanno parte della condizione umana, e che danni
estremi possono essere compiuti soprattutto quando una cultura violenta si interfaccia con la follia di cui si sta
argomentando. Una delle possibili cure e strade percorribili, forse, potrebbe essere quella di prevenire ed educare ad
una cultura non violenta rivolta al bene e alla ragionevolezza, che possa influenzare positivamente l’ambiente che ci
circonda. Attualmente il problema delle malattie mentali e dei vari disturbi psichici, tra cui quelli conseguenti alla
detenzione, sono riversati su quanti sono preposti a gestire le carceri senza avere mezzi adeguati a disposizione.
Mancano psicologi, educatori, percorsi trattamentali e terapeutici adeguati a fronteggiare la situazione. Nel nord Italia
pare esista un solo centro di osservazione e diagnosi per le malattie mentali. Si trova in una delle sezioni della Casa
Circondariale di Torino, Lo Russo e Cotugno. Qui vengono seguiti solo i casi più gravi: chi ha tentato il suicidio più volte
o crea seri problemi, difficili da gestire nelle sezioni di appartenenza. La cosa che più colpisce è il fatto che solo una
piccola percentuale di queste persone pare possa essere classificata con una vera è propria diagnosi di malattia
mentale. Si tratta perlopiù di disturbi psichici, traumi, da attribuire alla prigionizzazione e che colpiscono le persone
più fragili. Tra le varie cause al primo posto si trova la condizione di sofferenza che si traduce in alienazione, apatia,
senso d’impotenza, rabbia. Poi, un ruolo fondamentale lo giocano la mancanza degli affetti, l’indigenza in cui molti
sono costretti a vivere, la consapevolezza che il sistema penitenziario non riesce a far rispettare le norme su cui si
poggia, creando una sorta di ingiustizia sociale che porta la persona a sentirsi a sua volta vittima, anziché carnefice.
Per il resto le sintomatologie vengono gestite e contenute attraverso terapie farmacologiche che, non risolvendo il
problema, lo fanno rimanere dormiente fino a quando la persona non avrà finito di scontare la pena.
Una delle questioni che desta allarme, è rappresentata dal fatto che quando si parla di patologie e disturbi psichici di
vario genere, non si tratta solo di malattie come la schizofrenia, bipolarismo, borderline, psicosi, oppure delle 297
annoverate dalla letteratura specifica. Le stesse persone che assumono sostanze che creano dipendenza, ad esempio,
sono state classificate all’unanimità, da tutta la comunità medico scientifica mondiale, come affette da malattia
cronica altamente recidivante. Nonostante ciò il nostro Sistema Penale continua a considerare questa malattia una
specifica circostanza aggravante del fatto-reato. Quindi, anche chi non è un esperto giurista può comprendere che
qualcosa non va nel sistema attuale, ad eccezione di chi non vuole abbandonare una subcultura forcaiola, sterile ed
inutile per tutti. Curare o punire: cosa conviene di più per la nostra società?
S.F.