Il mio percorso tra droga e speranza

Recentemente leggo articoli, lettere, testi contenenti parole e frasi che mi hanno sempre accompagnato sin dall’ infanzia: sono intrisi di terminologie usuali e comuni, ma al contempo tecniche attinenti alle emozioni ed ai sentimenti. Emozioni… Sentimenti… Ho sempre avuto una buona capacità a riconoscerli, distinguerli e descriverli, tuttavia una pessima abilità a controllarli. Soffro di un disturbo di personalità NAS depressivo / borderline, secondo quanto descritto dai criteri del DSM V (Manuale Diagnostico Statistico Rev. 5, riconosciuto come il più recente testo ufficiale utilizzato a livello mondiale per la classificazione delle patologie mentali e correlate). Ho scoperto ufficialmente di avere questa problematica non molto tempo fa, dopo la mia prima breve esperienza carceraria del 2018, nonostante sin dalla tarda infanzia e prima adolescenza ricordo limpidamente lunghi periodi di ingiustificata tristezza, esplosioni di rabbia e giornate caratterizzate da un umore tendenzialmente elevato sopra la norma. L’ anormalità di questo complesso quadro emotivo stava proprio nella peculiarità dell’essere avulso da un contesto ambientale che fosse stimolante, stressante e deterministico per suscitare tali reazioni.
Figlio unico di una normale famiglia borghese, non ho mai sofferto di particolari mancanze (materiali ed affettive) da parte dei miei genitori, tuttavia ho sempre saputo che in me qualcosa non funzionava. Ho terminato regolarmente le scuole superiori (liceo scientifico), mi sono preparato per un percorso universitario che però sul subito non volevo affrontare e tale resistenza contro le elevate e pretenziose aspettative genitoriali ha creato malumori, delusioni, scontri e dissidi tra le mura domestiche. All’età di 19 anni ho incontrato per la prima volta la cocaina, che abbinata ad un uso smodato di alcol (già dai 17 anni) sembrava proprio essere una medicina, un tassello mancante per il mio cervello che mi permetteva di dimenticare di essere sempre triste ed insoddisfatto. Ovviamente, come comunemente saputo, alcol e droga comportano effetti collaterali, non solo nei riguardi della propria salute fisiologica, neurale e psicologica, ma soprattutto in termini di distorsione dei rapporti relazionali, che il più delle volte vengono rovinati o addirittura distrutti, nonostante fossero stati coltivati da anni con sano amore, amicizia e riconoscimento reciproco. Scelsi per un po’ di anni di continuare con l’abuso di alcol e sostanze, poiché attenuavano il mio stato perenne di depressione, sino al punto di diventare apatico per medi-lunghi periodi.
Un giorno, all’età di 22 anni mi guardai attorno e… Mi resi conto di essere solo; lontano dal mondo reale, sempre più distante da quella sensibilità che rende davvero umana la nostra specie. I miei genitori erano disperati e la mia compagna ormai era esasperata dalla situazione. Ebbi dunque all’improvviso una sorta di illuminazione: volevo fermare tutto e ripartire da capo, iscrivendomi in primis ad una scuola professionale secondaria, che conclusi conseguendo un secondo diploma di tecnico di commercio internazionale quasi a pieni voti e dopo tentai con successo il test d’ ingresso all’università nella facoltà di Scienze e Tecniche Psicologiche. Credo fu il periodo più felice della mia vita, durante il quale, ritrovai equilibrio interiore, presi le distanze dall’alcol e dalla droga, mi impegnai assiduamente ed intensamente nello studio sino ad ottenere eccelsi risultati accademici. Insomma, avevo ritrovato me stesso, avevo ritrovato l’amore, l’amicizia e soprattutto la stabilità nei rapporti coi miei genitori.
A circa 6 mesi dalla laurea (contando gli ultimi 4 esami mancanti e la redazione della tesi), che conseguii comunque quasi a pieni voti con dignità di pubblicazione internazionale della tesi, accadde una Tragedia: mio padre, appassionato motociclista come me, fu coinvolto in un importante incidente in moto a fine marzo 2014: urtò un’auto che svoltò di colpo senza freccia di fronte a lui, ed urtandola sbalzò in aria, cadendo rovinosamente sull’ asfalto a circa 25 metri di distanza dal luogo preciso dell’impatto.
Non posso descrivere le condizioni fisiche in cui lo ritrovai in terapia intensiva… Tuttavia, miracolosamente, dopo una settimana di cure e di forte speranza riuscì a riprendersi. La convalescenza durò circa un mese sinché una tranquilla serata come tantissime altre uscì a cena con mia madre e dopo la pizza tornarono a casa abbastanza presto. Lui si rilassò sul divano vedendo un film e poi andò a letto. Quella notte io rincasai abbastanza tardi, circa all’1:30 dopo essere stato in un pub con la mia ex compagna. Passarono 10/15 minuti dal mio rientro e sentii la sua voce strana ed ansimante chiamarmi con insistenza “Diego vieni subito, sto morendo… Ora tocca a te mandare avanti la famiglia”. Arrivarono i soccorsi, poi il trasporto in ospedale d’urgenza ancora in quel maledetto reparto di terapia intensiva. Alle ore 4:17 del 1 maggio 2014 fu constatato il suo decesso, esattamente in concomitanza con una fortissima sensazione di un brivido gelato che mi pervase tutta la schiena. Ricordo il suo corpo esanime di fronte ai miei occhi, fissi sulle sue ultime contrazioni oculari, ricordo lo svenimento di mia madre e ricordo che la mia vita cambiò drasticamente e per sempre.
Questo lungo excursus autobiografico reputo sia strettamente correlato al motivo per cui oggi mi ritrovo in carcere ed ovviamente alle motivazioni che mi hanno portato qui. Dopo la tragica improvvisa morte per infarto di mio padre, sentii qualcosa rompersi dentro di me e ritornai anche se più gradualmente, ma in forma più pericolosa e massiccia ad assumere sempre maggiori quantità di alcol e di cocaina, sino a perdere nuovamente contatti con la realtà. La rabbia divenne la mia migliore amica e l’amore e l’amicizia solamente parole prive di significato. Litigai ed ebbi scontri verbali e fisici con le persone più care della mia vita, che disperate e sofferenti pian piano mi allontanarono sino ad abbandonarmi. Il culmine del peggio lo toccai prendendomela con la mia amata compagna e con mia mamma.

A differenza di quanto magari gli altri detenuti possono concepire o interpretare, oggi vivo una condizione carceraria in cui mi sento pienamente meritevole di ciò che sto pagando, scontando e vivendo da detenuto; credo di aver trovato la fede e di aver in qualche modo scoperto cosa significa vivere in un inferno: tutti ne parlano e ne hanno parlato dall’alba dei tempi (scrittori famosi e persone comuni), dandone una propria interpretazione. C’è chi lo descrive come stare in una cella, essere privo della libertà, mangiare cibo a volte scaduto e disgustoso oppure come mancanza totale di denaro, chi come handicap fisico, chi come altro ed altro ancora. Nel pieno rispetto dell’opinione di tutti, per me invece l’inferno consiste nell’essere lucidi e consapevoli del fatto che le persone che ami e ti amano stanno soffrendo per colpa tua e citando un grande filosofo greco antico aggiungo che “Il dolore più grande, ma forse l’unico che rende una persona davvero matura consiste nell’essere pienamente consapevoli e crudelmente sinceri nell’ammettere a noi stessi di essere la fonte ed il più grande motivo di tutti i nostri mali”.
Per concludere, mi sento disintossicato anzitutto da alcol e sostanze. Qui la vita è dura, ma per me rieducativa e sto riacquisendo pian piano la piena consapevolezza della mia intera persona. Le emozioni che vivo sono certamente a volte di sofferenza, solitudine e disperazione, ma sto imparando ad affrontarle ed a controllarle. Prendo coraggio e vivo la speranza che domani sarà un nuovo giorno ed in quel domani potrò avere l’ennesima (forse ultima possibilità) di dimostrare nei fatti di essere una persona diversa, cresciuta nell’anima, che desidera migliorare ogni giorno sempre più, cercando di aiutare il prossimo, di ascoltare chi ne ha bisogno e soprattutto di stare lontano dai guai, evitando di ricommettere sempre gli stessi errori.

Diego T.

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Autore dell'articolo: feniceadmin