Finché la luce del sole lo illuminò mi fu accanto. Sembra passata un’eternità da quando se n’è andato.
Il ricordo di lui che viene a trovarmi in carcere è sempre presente ed accompagna ancora oggi le mie giornate… Furono tempi molto duri quelli che seguirono il giorno del mio arresto. Fin da subito fui sottoposto al regime del carcere duro e trasferito a Pianosa. Poi, qualche tempo dopo si svolse e concluse l’ ultimo processo che sancì definitivamente la mia condanna. In nessuna occasione, durante tutte le trascorse udienze ebbi modo di vedere il viso di mio padre, nemmeno in occasione della mia sentenza.
Quando arrivano delle giornate così difficili, si sente più di ogni altra cosa la necessità di rincuorare il proprio padre, di fornirgli speranza, di cercare di comunicargli che quel “FINE PENA MAI’ non deve rappresentare l’inevitabile, poiché può esserci ancora speranza, nonostante tutto…
Era quello il mio pensiero: che per il resto della mia vita ci sarebbe sempre stata la possibilità che qualcosa potesse cambiare, svoltare un destino ineluttabile, inesorabile. Sentivo forte in me la necessità di nutrire il desiderio del “possibile”, del “qualcosa cambierà”. Soprattutto per infondere tale speranza nel cuore e nei pensieri di mio padre, in virtù del mio e soprattutto del suo futuro.
Riuscii a reincontrarlo in un colloquio presso il carcere nel quale ero detenuto, qualche mese dopo la sentenza, ma erano già passati ben tre anni dall’ultima volta che lo vidi di presenza. Nello stesso istante in cui entrò nella saletta del colloquio, tutto intorno a me parve fermarsi. Lui era invecchiato, nonostante si dica che i padri non abbiano età…
Quando ero bambino, la vita insieme a lui mi sembrava un lungo giorno: morivo con il sonno e risorgevo al risveglio e lui era lì, sempre accanto a me. Al colloquio era davvero difficile guardarlo in volto, così scavato e piegato dal dolore, ma nonostante ciò io gli sorrisi. Mi ricordo bene che i suoi occhi mi fissavano con tenerezza, nonostante mi pareva che facesse fatica a riconoscermi, come fosse estraniato.
Ciò che io e lui stavamo vivendo non era l’occasione in cui ci stavamo curando le ferite a vicenda, bensì pareva solamente l’ istante in cui ignoravamo in forma improvvisata l’inevitabile, quello che realmente poi sarebbe successo in futuro. Avrei voluto con tutto il mio cuore abbracciarlo e sostenerlo in quegli istanti, ma quel vetro divisorio ci impediva qualsiasi tipo di contatto, ciò nonostante per qualche momento ricordo che ci sorridevamo vicendevolmente, come potessimo vivere per sempre, come potessimo morire insieme, senza stare ad immaginare quale sarebbe stata l’ultima volta in cui ci saremmo potuti di nuovo incontrare.
Quando se ne andò per sempre, capii per la prima volta nella mia vita che esistono davvero situazioni irreparabili, irrimediabili, dalle quali non si torna decisamente più indietro, qualunque tentativo si tenti di fare successivamente.
Le parole saranno sempre poche e saranno solo parole, forse sincere, conservate, mai dette o inutili e mai potranno sostituire i colpi, le carezze, le speranze, le stanchezze.
Oggi ho qualche difficoltà a riguardare le sue fotografie: è come percepire intenso il suo sguardo nei miei occhi, e nei suoi rivedo i miei, colmi di dolcezza. Quel tempo di sguardi è passato; ora esiste solo illusione di governare il mio tempo. A separare le nostre vite non c’è più solamente quel maledetto vetro divisorio della saletta colloqui, attraverso il quale io e lui immaginavamo il futuro incerto e le speranze, forse anche illusorie. Bensì oggi mi è rimasta l’immagine di lui che mi correva incontro tra le spighe dorate di un campo di grano, mentre toccava uno stelo con le dita.
Sono io la spiga ed il figlio che lui dolcemente accarezzava; ma quelle carezze che avevo imparato a riconoscere anche dietro un vetro divisorio, non le sentirò e non ci saranno mai più.
Michelangelo D. (Uomo Ombra)
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