Reinserimento: un lutto privato

Quali strumenti si offrono al detenuto per facilitare il ritorno in società?

Si parla molto del reinserimento e della necessità di restituire quanto meno una persona risocializzata alla società quando quest’ultima ha finito di scontare la propria pena.
Ma purtroppo oggi continua ad essere un sogno utopistico, perché non sempre viene garantito al detenuto che sconta una pena di uscire dal carcere come una persona con strumenti diversi da quelli che aveva all’epoca dei propri reati.
Sì perché purtroppo l’art. 27 della nostra amata ma”calpestata” Costituzione, continua ad essere una opportunità per pochissimi eletti all’interno delle carceri. Con la conseguenza che una persona, finito di pagare il proprio debito con la giustizia, si ritrova catapultata nella società da un giorno all’altro, senza una meta, nella stessa condizione culturale e sociale di quando era stata arrestata.
Questo perché all’interno delle carceri ci sono sempre meno strumenti trattamentali degni di questo nome. Nel senso che, quel poco che si può trovare, corsi di scrittura, sala musica, teatro…, serve più come strumento di statistica annuale per gli addetti ai lavori, che come strumento che permetta al soggetto di acquisire dignità durante la pena, e quindi responsabilità rispetto ai propri errori che lo hanno portato in carcere.
Questo tipo di attività trattamentali offerte nella maggior parte dei carceri in Italia, (se non sei in un carcere illuminato e quindi diventi “l’eletto” di turno), non ti permette di acquisire capacità e professionalità da poter spendere e sfruttare in società una volta finita di scontare la pena.
Già i pregiudizi rispetto al passato sono tantissimi da parte della società e quindi chi dovrebbe offrire un opportunità di lavoro all’ex detenuto? Vista poi l’impossibilità di avere degli strumenti adeguati che permettano di affacciarsi al mondo del lavoro, c’è il rischio concreto che le persone ritornino da dove sono arrivate all’epoca dei loro reati.
Non sarebbe quindi più logico investire in termini di prevenzione su queste persone mentre sono ristrette, cercando di fargli acquisire degli strumenti che gli permettano di non cadere di nuovo nel baratro della delinquenza e della sub- cultura in cui sono sempre vissuti, rendendo in questo modo il loro libero arbitrio meno condizionabile dal loro passato e contesto sociale da cui provengono?
Ecco perché sarebbe auspicabile che le istituzioni tutte, ma anche tutta la società che opera in carcere, sia laici che cattolici, iniziassero a porsi qualche domanda sull’efficacia che potrebbe avere l’offrire ad un persona un vero accompagnamento graduale e di sostegno prima del reinserimento in società, senza che continui a rimanere affar nostro o un lutto privato.

Mauro V.

Autore dell'articolo: feniceadmin