Sono nato in provincia di Salerno, vicino a Vietri sul mare, un paese marittimo dove le persone vanno a villeggiare d’estate. In realtà per arrivarci dal mio paese ovvero Nocera Inferiore ci vogliono una quarantina di minuti ma più per il traffico che per altro.
A Vietri sul mare c’è tutt’oggi un lido dove andavo quando ero piccolo, non ricordo il nome, forse “LA ROSA DEI VENTI” ma era ed è molto famoso, anche perché al suo interno c’è una bella spiaggia e un bel servizio, per gente per bene, gente che i soldi o li ha già o se li fa.
Comunque quello che volevo dire è che al suo interno ci sono degli scogli molto alti da dove i più temerari si arrampicavano e si tuffavano. Quelle rocce altissime sono state soprannominate da tutti “i due fratelli” e non perché erano due scogli molto simili, molto alti e molto vicini tra loro, ma perché molti anni prima che io nascessi proprio due fratelli vollero provare a buttarsi da queste rocce che fuoriuscivano dall’acqua in modo impetuoso e finivano con la cima appuntita, ebbene così fecero, si arrampicarono e si buttarono da più di 20-30 metri e morirono entrambi. Questo è quello che si racconta ma non mi è molto difficile credere a questa storia, quegli scogli fanno veramente paura.
Ebbene la storia che volevo raccontare assomiglia un po’ a quella di questi due fratelli che si tuffarono da questi due scogli scoscesi e parla di due fratelli che scelsero insieme di provare a scalare la vetta del successo e dei soldi facili, cadendo però dall’alto nell’abisso della malavita e delle sue conseguenze. Come fecero i due fratelli che però trovarono la morte sbattendo contro qualche scoglio sott’acqua. Questi altri due fratelli di cui voglio raccontare sono andati a sbattere contro un sistema, perdendo così inevitabilmente un pezzo della loro anima. Si tuffarono anche loro da un punto alto fino a volare giù nel mondo del malaffare, fatto di soldi facili, di droga, di belle donne, di belle serate, ma anche di falsità, di tradimenti e infamia, di invidia, momenti brutti, momenti belli e intensi in cui quasi gli sembrava di toccare il cielo con un dito. Un’illusione? Chi può dirlo?
Sono stato testimone del vissuto di questi due fratelli, ebbene sì, perché io sono uno dei due, Valerio il più piccolo, 29 anni, ma forse anche il più dannato. Con mio fratello abbiamo fatto tutto insieme: siamo stati in paradiso e all’inferno purtroppo e per troppo tempo. Siamo scesi negli inferi più macabri a combattere contro i peggiori mostri dei nostri incubi e come dicevo prima noi non trovammo la morte sbattendo dall’alto contro quest’inferno terreno, ma col passare di troppi anni arrivammo a perdere l’anima. Noi due una volta innocenti neonati, ancora troppo incoscienti, ancora troppo giovani e se pur negli anni ci macchiammo di brutti fatti, oserei dire anche un poco ancora innocenti per essere catapultati negli abissi più profondi dove l’umanità e la compassione non esistono … inevitabile perdere l’anima, inevitabile riceverne una tutta nuova in cambio, ma fatta di rabbia e di odio. E penso che forse sia peggio. Inevitabile diventare insensibili a ciò che ti succede intorno, indifferenti e freddi come due pezzi di ghiaccio o troppo caldi e violenti come lava appena eruttata da un vulcano esploso. Noi no, non potevamo esplodere. Diventammo due bombe inesplose cariche e pronte a esplodere da un momento all’altro per la vita a cui appartenevamo, il carcere, silenzi obbligati, situazioni al di là di ogni immaginazione, paradossale, assurdo, oltre ogni limite di animali tenuti in cattività, inevitabile diventarlo. Se volevamo salvarci dovevamo diventare proprio cosi.
Non potevamo né sfogarci né lamentarci con nessuno, solo tra noi potevamo confidarci e fidarci, ci siamo fatti forza l’un l’altro molte volte, per mostrarci sempre forti, duri, cattivi, e tenere lontano e soprattutto all’oscuro di tutto questo la nostra famiglia.
Infatti non ho mai parlato di cosa ho vissuto in alcune carceri italiane, cosa ho dovuto vedere, cosa ho dovuto sentire e quanti bocconi amari per non dire altro ho dovuto buttare giù. E quando sei insieme a una persona cara come un fratello, subire tutto questo ti fa ancora più male, perché non vorresti mai vedere soffrire una persona a cui vuoi bene e invece noi lo abbiamo subito insieme e questo faceva sì che tutto fosse ancora più doloroso.
Ricordo una sera quando io e mio fratello eravamo in cella insieme e io facevo ancora parte dei reparti “comuni”, ebbene saranno state le 23 di sera e ad un certo punto sentimmo grida disumane di dolore che supplicavano aiuto e si sentivano le botte che gli agenti di polizia penitenziaria davano a un poveretto che supplicava di smetterla e cercava aiuto, ma chi poteva aiutarlo, quando sei nelle mani della POLIZIA penitenziaria?
Tutto questo accadde nelle scale degli agenti di polizia che stavano nel BLOCCO C nel reparto dei “protetti” dove sono ubicati detenuti che si macchiano di violenza sessuale e altri reati, talvolta orrendi, ma altre volte simili ai comuni, e noi invece eravamo ubicati nel BLOCCO B. Ma a quell’ora della sera si sentivano chiaramente le botte e le urla di quella persona perché a quell’ora di solito nelle carceri regna il silenzio.
Ricordo un altro episodio, era il terzo giorno che ero arrivato in quel carcere ed erano le 18 di sera, stavo aspettando dietro il cancello della mia sezione di poter andare alla visita medica, quando all’improvviso vedo tre agenti scaraventare a terra un detenuto arabo e cominciare a picchiarlo selvaggiamente con calci e pugni, la cosa che mi colpì di più fu il loro menefreghismo, cioè non si preoccuparono minimamente di chi poteva vederli o sentirli, c’erano altri detenuti come me che stavano aspettando per andare in visita medica, c’era il dottore e le infermiere, tutti rimanemmo in silenzio a bocca aperta. Tutto questo accadde nel carcere di Torino, dove poi negli anni a venire venni a sapere che furono indagati 22 agenti di polizia penitenziaria più il comandante ormai divenuto ex e addirittura il direttore anzi ex direttore che chiudeva un occhio su queste “squadre di picchiatori” come le hanno poi soprannominate i giornali.
Quando guardi con i tuoi occhi gli abissi di un posto come quello in un paese “civilizzato” come il nostro è inevitabile rimanerne segnati.
Raramente parlo di certe cose che ho vissuto in carcere con la mia famiglia che già soffre nel sapermi rinchiuso, figuriamoci se sapesse determinati fatti.
Ma voglio anche dire che non tutte le carceri e non tutti gli agenti di polizia penitenziaria sono violenti e aggressivi, anzi ho conosciuto soprattutto nel carcere dove mi trovo ora ovvero l’istituto penitenziario di Ivrea, molti Assistenti, Brigadieri, Sovrintendenti, Ispettori, Vicecomandanti e Comandanti di gran cuore e di un empatia e disponibilità che a volte oramai è quasi difficile trovare anche in certi detenuti. Per questo non faccio di tutta un erba un fascio anzi sono il primo a dire che ci sono posti dove si sta bene e altri dove si sta male per non cadere nella generalizzazione.
Ma come quei due poveri fratelli trovarono la morte lanciandosi dall’alto negli abissi del mare, volevo farvi capire come noi due fratelli perdemmo un pezzo importante delle nostre anime caduti dall’alto fino giù nella profondità degli abissi delle carceri italiane luoghi dove non vai avanti con la debolezza e come dicevo prima se non vuoi essere mangiato o schiacciato dagli altri devi imparare purtroppo a farlo tu.
I segni di tutto ciò sono oramai visibili per i più vicini a me e mio fratello della nostra famiglia che si sono accorti che né io né lui siamo più gli stessi di prima, nel bene e nel male qualcosa abbiamo imparato, ovviamente, ma qualche pezzo di noi è ormai perso tra un carcere e l’altro e penso forse le parti più sensibili e se vogliamo più positive di noi che abbiamo dovuto sostituire con insensibilità e aggressività e non fiducia e malizia, tutte cose che purtroppo oggi specialmente mio fratello che è libero ormai già da due anni non riesce comunque a scrollarsi di dosso, perché purtroppo chi perde l’anima o un pezzo della propria anima e la sostituisce con istinti primordiali per sopravvivere, poi difficilmente tornerà ad essere quello che era prima di entrare in carcere, a meno che non ci si sia fermato solo per uno o due anni, ma chi come noi ha passato molti natali in carcere cambia, e quando esce non è più lo stesso, questa dovrebbe essere anche una cosa positiva perché per alcuni di noi il carcere serve a crescere e a mettere la testa a posto, rimangono però anche le cose negative che solo con il passare del tempo potranno essere affievolite e potranno cominciare ad affacciarsi sentimenti e istinti più positivi e più umani.
Le ferite dell’anima rimarranno per sempre aperte ma con la consapevolezza comunque di essere sopravvissuti ad anni di galera dolorosi ma che allo stesso tempo ci hanno anche forgiato e temprato nel carattere, forse un po’ troppo ma sappiamo comunque che un giorno torneremo ad essere più sereni magari non come una volta. Ma forse chissà … anche meglio.
Grazie a tutti.
Valerio
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